From the Desert To the Ocean. Poteva essere benissimo questo, il titolo del qui presente quarto album dei People’s Temple. Un titolo che sintetizza benissimo – non bastassero le copertine del primo e di questo disco a ricordarcelo – il percorso artistico di questo quartetto del Michigan, salito alle cronache musicali appena tre anni fa con un bel disco di garage nuggets dalle atmosfere desertiche (“Sons of Stone”, ad oggi la miglior prova dei Nostri) e giunto oggi, dopo tre album, ad abbracciare con sfacciata convinzione un garage-pop psichedelico dalle ascendenze surf.
È come se il vento e l’acqua dell’oceano avessero levigato il suono della band, portando alla luce da un lato, una potenza d’impatto invidiabile (il lavoro della sezione ritmica è da applausi) degna di ben altre cavalcate, dall’altro, un’amore sconfinato per le melodie facili, il surf e il (power)pop rock dei 60s.
È dunque un garage-pop appena inacidito a farla da padrone in Weekends Time, con Waiting For Jim, How Long? e Heart’s Ease a segnare il percorso e le due cover di Ariel Pink, Loverboy e She’s My Girl, a tenere il passo. In William’s Song riaffiora il blues e le cose migliorano sensibilmente, mentre spetta alla bella Ones Forgotten il compito di riportare tutto a casa, affiancando alla parte melodica una tirata fuzzosa che puzza di deserto.
Un disco corto e conciso, fatto di soli nove pezzi (uno dei quali, How Long?, appare in due versioni) per poco più di venticinque minuti di durata, che ci riconsegna una band nuova, più solare e leggera che in passato – ma anche più precisa, potente e affiatata – alle prese con l’ennesimo camaleontico passo (falso) in avanti. Che ci riserverà il futuro?
Tracklist:
1. Waiting For Jim
2. Ones Forgotten
3. How Long?
4. William’s Song
5. Loverboy
6. Human Cancer
7. She’s My Girl
8. Heart’s Ease
9. How Long? (reprise)
Line-up:
Alex Szegedy . guitar, vocals
George Szegedy – drums
Spencer Young – bass, vocals
William Young – guitar, vocals