POST-PUNK E NEW WAVE IN SINTESI
L’avvento del fenomeno Punk Rock, immediatamente dopo la metà degli anni ’70 pressoché contestualmente negli States e in Inghilterra, fu considerato una sorta di grande reset culturale che liberava la musica popolare dai barocchismi e dagli intellettualismi del cosiddetto Prog-Rock, ma anche di certa Psichedelia e dell’AOR. Generi che avevano dominato la scena a cavallo tra i ’60 e i ’70 imponendo una concezione virtuosistica e visionaria, nonché magniloquente dei musicisti, dei cantanti e dei loro live show.
Reset non solo in una prospettiva strettamente sonora, ma soprattutto da un punto di vista lirico, giacché i testi abbandonavano quella connotazione ormai troppo colta e cerebrale e tornavano ad occuparsi di società, politica, disagio giovanile, dipendenze con un approccio molto diretto, molto anarchico o pienamente nichilista. In ogni caso fortemente provocatorio e polemico. In verità gli anni ’70 non erano stati caratterizzati – fino a quel momento – solo dalla musica elitaria di gruppi come Genesis, Yes, King Crimson EL&P e Pink Floyd.
In Germania aveva messo radici il Krautrock di Faust, Neu!, Can che miscelava l’elettronica ad esperimenti sonori che in parte avrebbero poi definito il sound Industrial. Molti spunti dei due album capolavoro dei Neu! li ritroveremo, ad esempio, qualche anno dopo nello stile di Joy Division e Cure. Parlando di elettronica pura, poi, c’erano i Kraftwerk che ponevano le basi per quello che divenne il Synthpop di Depeche Mode e Human League. E negli stessi anni in cui il Punk conosceva il suo apice di popolarità planetaria, il Duca Bianco Bowie produceva assieme a Brian Eno – nel cosiddetto periodo berlinese – un paio di album che in qualche modo anticipavano già alcuni stilemi della New Wave vera e propria.
Dunque, il reset partito con i Ramones – negli USA – e coi Damned – in UK – fu certamente una rivoluzione culturale, ma non così netta e sradicante come spesso si è detto. Ci fu per certi versi un passaggio, un travaso più sfumato di molte radici già germinate nei primi anni ’70. E così tutta la musica venuta dopo le fiammate di Sex Pistols e Dead Boys assunse l’etichetta di New Wave per definire una vera e propria ondata di nuovi nomi e nuovi volti che spopolarono a lungo, ridando linfa all’anima più emozionale e pulsionale della cultura rock.
Tuttavia senza tradire quanto di buono lasciava l’eredità della Psichedelia, ma anche del rock tradizionale, della disco e del pop propriamente detto. In questa ondata si distinsero varie correnti e sotto-correnti, in parte improntate fortemente sul potere dell’immagine oltre che su quello della musica: New Romantic, Gothic Punk, Ska per citarne alcune. Spesso molto diverse tra loro, ma tutte filiazioni di quel nuovo approccio che vide un certo rifiuto del passato anche nella gestione più indipendente della produzione e della distribuzione.
Non fu soltanto, infatti, un fiorire di nuovi artisti: nacquero centinaia di nuove etichette discografiche slegate dai poteri delle major e si formò una nuova generazione di produttori capaci di leggere nel modo migliore il vento che tirava e le esigenze del pubblico. Il Punk in quanto tale, alla fine, non durò molto e sebbene i semi sonori che aveva sparso continuarono a dare frutti nel sound di molti artisti, fu soprattutto la sua dinamica di rottura ad essere funzionale al rinnovamento. Dopotutto la New Wave stessa tornò ad avere una connotazione intellettuale non certo fragile nei testi di molti autori rappresentativi che hanno letteralmente fatto scuola: Robert Smith dei Cure, Morrissey degli Smiths, Jaz Coleman dei Killing Joke, Ian Curtis dei Joy Division.
Autori rimasti influenti per decenni su migliaia di altre band. Ma la distanza tra la rabbiosa spontaneità degli anni ’80 e le prolisse ricercatezze degli anni ’70 fu sicuramente consolidata in modo abbastanza marcato anche in questo senso.
Killing Joke – Love like blood