Doron Flamm: Donkey
Tu prima affermi che io non credo negli Dei, poi invece
che credo negli Dei dal momento che credo nei demoni. E se
poi i demoni sono figli spurii di Dei, partoriti, come si dice, da
ninfe o da altre che siano, chi oserebbe affermare che ci siano
figli di Dei, e Dei no? Sarebbe come dire che ci sono i muli
figli di cavalli e di asini, ma cavalli e asini no. Caro il mio Melèto,
non è possibile che tu abbia voluto formulare così la tua accusa
se non per prenderti gioco di noi, o per non sapere di che altro
incolparmi. Ma che tu riesca a persuadere qualcuno, anche se
d’intelletto corto, a credere che ci siano cose demoniache e
divine, senza credere né nei demoni, né negli Dei, né negli eroi,
questo mi pare veramente impossibile.
Platone, Apologia di Socrate, XV
Mida Mivar si fece strada a fatica attraverso il dedalo di viuzze che portava a casa, il corpo scosso da un tremore che non riusciva a placare. L’aveva mancata per un soffio e ancora non si capacitava del perché in quel momento non fosse spiaccicato sul ciglio di una strada. La sua mente allenata a calcoli complessi e velocissimi continuava a dargli sempre lo stesso risultato: non c’era stata alcuna probabilità di uscirne vivo. Subito dopo, il conducente dell’auto non si era nemmeno fermato, aveva rallentato un attimo, forse giusto il tempo di vedere che lui si rialzava in piedi, illeso, e poi le ruote erano tornate a slittare gridando sull’asfalto mentre le marce ingranavano nervose.
Era vivo solo perché, un attimo prima dell’impatto, qualcuno o qualcosa l’aveva colpito alle spalle buttandolo lungo disteso, fuori dalla traiettoria del veicolo impazzito. Ma intorno a lui non c’era proprio nessuno che potesse averlo spintonato e l’unica spiegazione a cui riusciva a pensare era quella di un intervento divino, cosa che non rientrava nel suo comune sistema di pensiero. Eppure…
Entrò e si buttò sul divano togliendosi lentamente la camicia sporca e strappata, disfatto. La Centrale dei dati poteva aspettare. Ora aveva qualcosa di più importante da capire.
Giro girotondo
casca il mondo
casca la terra
tutti giù per terra…
Non sono un tiranno.
L’altro ieri, solo per fare un esempio, lasciavo che i personaggi di una storia che sto scrivendo seguissero le proprie inclinazioni.
Però il protagonista stava per finire sotto un’automobile mentre attraversava incauto una strada. L’ho spostato appena in tempo perché non venisse travolto. D’altra parte vivo, ma menomato, non sarebbe servito per niente ai fini della trama, di cui ancora lui non può conoscere la conclusione.
Per un attimo ho pensato che mi avesse visto, i suoi occhi erano sbarrati e un’espressione di terrore incredulo gli segnava il volto. Ma non tanto per lo scampato pericolo mortale, quanto per la perplessità irrisolta che gli attraversava il cervello mentre a fatica tornava a casa.
Finì che non parlò per tutto il giorno. Si mise sul divano del salotto e cominciò a leggere non so di che fantasie divine.
Il che mi scocciò non poco perché quel giorno, invece, la mia tabella di marcia prevedeva almeno altre cinque cartelle e che lui salvasse mezza città (l’editore mi stava col fiato sul collo). Stava per scoprire l’antidoto a un virus che rischiava di annientare in poco tempo il genere umano e solo lui possedeva le capacità per metterlo a punto. Di lì a poco gli uomini avrebbero versato in pietose condizioni e sarebbe stato l’eroe della storia.
L’impressione generale che ne ebbi fu un po’ come quella volta in cui finii giù per una scala e stavo per precipitare dalla tromba del terzo piano quando, manco fossi una piuma, mi sentii trasportato d’un tratto sul duro pavimento del pianerottolo. Illeso. Roba da non credere!
Ci stetti così male, non tanto per la morte che avevo visto certa come nella sequenza di un film al rallentatore, quanto per l’inspiegabile volteggio all’insù che contrastava con ogni evidente legge fisica conosciuta.
Giro girotondo
casca il mondo
casca la terra
tutti giù per terra…
Era stanco di girare in tondo da millenni. Così non si arrivava da nessuna parte. Non uno straccio di unità pensante, non un umano, non un personaggio avevano ancora capito che cosa fosse il libero arbitrio.
Decise di mettersi a riposo. Che tutti si dessero da fare a diventare Dei e padroni del loro destino. Chissà se un po’ di anarchia non li avrebbe fatti rinsavire.
Un allarme imperioso suonò nella fitta rete di elaborazione mentale messa a punto dalle Deità: il sistema di controllo aveva individuato una anomalia nell’operato di Giove. Per qualche inspiegabile motivo, il dio aveva abbandonato la sua consolle e ora il sistema galattico a cui era preposto stava per precipitare nel Caos. Il fatto si ripeteva per la seconda volta. Già in passato l’unico pianeta popolato che orbita intorno al Sole aveva subito un crollo di significativa portata. Risultato: un intero continente, abitato da una delle civiltà più avanzate, era affondato nelle acque oceaniche e l’umanità aveva dovuto ricominciare da zero.
Ma che ora dovesse ripetersi una seconda volta, questo poi no! La tabella di marcia aveva i suoi punti critici e doveva essere rispettata.
Venne dato a Giove l’immediato ordine di presentarsi al Tavolo dei Supremi.
Tutti erano curiosi di sentire come il dio si sarebbe giustificato. E Giove, ubbidiente, si presentò munito di una dettagliatissima relazione e di una consistente mole di documenti con i quali motivava la sua decisione.
Sullo schermo olografico proiettò tutto quanto: guerre sanguinose, roghi di innocenti, simulazioni di santità, preghiere a demoni, macchine diaboliche, complotti mortali a danni di popoli interi, torture motivate da abbagli di potere, mari ridotti a cloache, cancri da radioattività, insomma, una sequenza immane di tali sconcezze che i Supremi, a olovisione finita, stettero muti per quello che un umano avrebbe pensato fossero secoli.
Alla fine, uno dei Supremi si alzò e parlò per tutti.
«Giove, pensavamo di doverti riprendere ma, ora che ci hai messo di fronte ai fatti, dobbiamo ricrederci. Al punto tale che ci stiamo chiedendo perché tu non abbia azzerato nuovamente questa cosiddetta umanità. Entità che non sono in grado di imparare dai loro errori non sono degne di esistere. Ma rispettiamo la tua decisione. Solo, dicci perché hai permesso a questi umani di esserci ancora».
Giove si alzò con fare stanco e rispose, vagliando le attese di tutti gli astanti: «All’inizio avevo pensato di agire come voi vi sareste aspettati. Ma poi, qua e là, ho visto qualche fiammella di luce risplendere ogni tanto, intelligenze pronte a combattere per migliorare e volontà determinate a lasciarsi indietro la bestialità che contraddistingue il genere umano. Insomma, esistono focolai che fanno presupporre la possibilità di un’evoluzione. È vero, la maggior parte sono esseri lenti e autolesionisti, violenti e compiaciuti di farsi del male, inconsapevoli e superficiali, piccoli esseri stupidi senza uno scopo né un segno che lasci predire qualcosa di meglio di quello che sono. È vero, sono entità presuntuose convinte che un po’ di tecnologia possa essere progresso, che le loro macchine sapranno liberarli da una schiavitù che invece è dentro di loro, non fuori. È anche vero che hanno ridotto il pianeta su cui vivono a un ammasso di veleni pronto a estinguerli e che non stanno facendo molto, anzi, ben poco per ripulirlo. È vero anche che non sanno distinguere tra menzogna e verità, e che la prima menzogna, la più grande, la raccontano a se stessi, quella di essere immortali. Ma…».
Tutti ascoltavano attenti, seguendo interessati le sue parole e annuirono perché continuasse, quando Giove fece una pausa.
«… ma un giorno, leggendo una di quelle storie che gli umani scrivono agli altri per raccontare se stessi e che cosa vedono del mondo (sono storie di fantasia), mi accorsi che uno dei personaggi ero io. Non tutto di quello che facevo e decidevo in quella storia fantastica era giusto e, con mia grande sorpresa, mi accorsi anche che le cose erano andate proprio come era stato raccontato. Io per davvero avevo fatto e deciso così, pensando fosse il meglio. La mia natura divina mi dava il dono dell’infallibilità, così mi era stato insegnato. Poi pensai da chi mi fosse stato insegnato, e non trovai una risposta. Non da voi, o Supremi. Noi siamo pari, come tutti ben sappiamo, e non siamo nati, né moriremo. Da chi mi era stato insegnato, dunque?»
I Supremi non aprirono bocca, sorpresi.
«Come prima cosa riconobbi che anch’io avevo avuto un’evoluzione. Se non l’avessi avuta, non mi sarei accorto di poter reputare le mie decisioni, se non sbagliate, perlomeno perfettibili. Dunque la nostra natura divina può migliorare, ne convenite?»
Dal Tavolo tutti convennero con un lieve movimento perplesso della testa.
«Ebbene, sapete come finiva la storia di quell’essere umano? A un certo punto gli Dei sparivano e venivano sostituiti da altri con nomi diversi, il genere umano restava e adorava i secondi dimenticando i primi.»
Il Supremo che parlava per tutti allora gli rivolse la parola: «Ebbene, Giove, che cosa vuoi dirci?».
«Voglio dire che, fino a quando permetteremo al genere umano di identificarsi negli Dei e nella loro prerogativa di essere immortali, queste misere entità non riusciranno mai a evolversi. Perciò, almeno per il momento, li ho abbandonati a se stessi.»
Il Supremo fece per controbattere, ma Giove agitò la mano con movimento gentile per mostrargli che non aveva finito.
«Inoltre, miei Supremi, qualche tempo fa mi è successo un fatto strano. Alcuni giorni prima di completare l’elenco di quel piccolo numero di umani di cui vi parlavo, per incidere loro il suggello mentale di iniziato che li nominasse fautori silenziosi di evoluzione per le ere future, mi ritrovai lungo disteso sul pavimento. Era come se una mano enorme mi costringesse a terra. Mentre stavo paralizzato senza alcuna possibilità di rialzarmi, davanti a me nacque l’immagine di un umano che avevo dimenticato di inserire nel gruppo. Non so come sia potuto succedere, sono infallibile, giusto? E una voce sconosciuta e antica, ma che allo stesso tempo mi era profondamente familiare, pronunciò il mio nome con un tono di voce che era tra il divertito e lo scontento. Quando infine riuscii ad alzarmi, la voce era svanita. Anche per questo ho deciso di non azzerare il genere umano. Di chi era quella voce? Noi forse non siamo onniscienti e immortali, supreme Deità?»
Per l’ultima volta i Supremi convennero, si alzarono all’unisono e colui che aveva sempre parlato per tutti disse: «Ti ringraziamo, Giove. Oggi abbiamo imparato molto. E molto ancora avremo da imparare. Ci ritroveremo qui tra 10.000 anni, un tempo minimo per cercare una risposta così grande, in verità».
Giro girotondo
casca il mondo
casca la terra
tutti giù per terra…
La Voce si riscosse pensosa e chiamò la Piccola Galattica nei suoi appartamenti per assegnarle il primo compito. Il Mentale trascendente aveva individuato un’anomalia.
La piccola androgina entrò sorridente e si dispose ad ascoltare. La Voce le disse che un intero sistema sembrava essere paralizzato. Girava in tondo e non ne usciva. Le raccontò di una civiltà retta da Deità ancora ferme all’impasse del libero arbitrio dove, di riflesso, le creature sotto il loro controllo erano ingabbiate entro un sistema di pensiero binario: bene e male, chiaro e scuro, maschio e femmina. Insomma, tutto un modo di contrapporre le cose che portava a caos e immobilità. Le mostrò anche immagini mentali di morte. La piccola osservava curiosa, sapeva che cos’era la morte, una stasi temporanea che produceva nuova vita, ma nel modo in cui le era mostrata sembrava più una fine senza inizio. Che cosa triste e strana! Le creature rette da queste Deità dovevano essere ben infelici.
«Ora, Galattica, devi sapere che esistono già tra queste piccole creature umane sistemi in cui il pensiero binario è stato superato, ma non hanno attecchito nel modo in cui avrebbero dovuto. Le Deità le hanno liquidate come sogni umani e non hanno potenziato una loro applicazione pratica. Così le loro creature hanno dato luogo a una civiltà progredita attraverso macchine e l’evoluzione sta avvenendo in modo automatico, non senziente. Gli umani stanno per perdere il controllo delle macchine che hanno creato e le Deità, di riflesso, il controllo delle loro creature. Un pasticcio…»
La piccola restò in attesa.
«… che va risolto prima che si allarghi ad altri sistemi. Vai e comincia là dove hanno già intuito l’unione dei contrapposti, il superamento dell’io, sai cosa intendo. Metti dentro la testa di questi umani il sospetto che tecnologia possa essere anche sviluppo di tecnologia mentale. Mostrati umana ed evita miracoli e stranezze varie. Rischi di venire lapidata, il che ritarderebbe di millenni la loro evoluzione, nella percezione di tempo che riescono a pensare. Stavolta cominciamo dal basso, non dall’alto. I creatori concepiti dalle creature stanno meditando, per carità, lasciamoli meditare. Così non saranno d’intralcio».
La Piccola se ne andò, tutta contenta del suo primo incarico e la Voce si distese sul cuscino di luci preferito.
Si predispose al suicidio rituale. Al suo ritorno, Galattica sarebbe stata la Voce.
Era così semplice… Come poteva il verbo (lei) farsi azione (Galattica) se non attraverso una trasformazione che l’avrebbe riportata ancora a verbo?
Libero arbitrio… Bah. Nell’etere si allargarono i cerchi di una risata argentina.
Poi tutto tacque.
Questo racconto è World © di Tea C. Blanc. All rights reserved
2 risposte
Tea bello, spiritoso e assolutamente originale
Grazie, Sergio. Mi fa molto piacere aver sentito un tuo parere 🙂