La storia narrata è quella del confronto fra ultras genoani e celerini, con tutto l’armamentario di Digos, Squadra Mobile, etc.; in questo caso io vorrei soffermarmi maggiormente sugli aspetti che fanno da contorno al romanzo.
La storia è buona e raccontata bene, con tempi e modalità giuste. Il mondo ultrà è descritto abbastanza fedelmente, con questo nuovo gruppo del tifo genoano che attraverso azioni eclatanti tenta di rinverdire i fasti della Fossa dei Grifoni. Lo scrittore, Riccardo Cazzaniga, è un poliziotto di stanza a Bolzaneto, ed anche questa circostanza non è casuale. Non vi è nulla di casuale in questo libro. Cazzaniga esce con questo libro in un momento nel quale la polizia è più malvista, poiché negli ultimi tempi vi sono stati molti contrasti sociali e i celerini hanno agito in diverse occasioni. E proprio i celerini sono al centro di questo romanzo, insieme ai loro omologhi, gli ultras. A mio avviso l’errore più grosso sarebbe proprio quello di accettare il parallelismo proposto dallo scrittore, ovvero paragonare i due gruppi di antagonisti. Anzi, gli ultras partono svantaggiati, poiché sono descritti come violenti ed anche un po’ coglioni, poiché le guardie riescono facilmente a seguirli. Il teorema di A Viso Coperto è che la polizia sia lì per servire e proteggere, nonostante le mancanze e i problemi, e che questi celerini siano in fondo dei professionisti della sicurezza. E dall’altra parte i cattivi, i violenti, Lupo ed altri. Chi conosce il mondo ultras sa che ci sono innumerevoli violenti, tanti malavitosi e tanti infami. E quello della collaborazione tra Digos ed elementi della tifoseria, è un altro topos fondamentale. I vecchi capi, alcuni dei quali non più attivi, fanno vedere che qualcosa alla Digos devi mollare, sennò ti fagocitano. E questo è vero, ma di qui a fare gli infami ce ne passa. Come infame è Pintus, informatico della Digos e collaboratore dei Piccolomini, che passa il tempo nelle chat e nei forum del tifo a spiare e a dare falsi appuntamenti. Internet è sicuramente un luogo caldo, purtroppo più dei piazzali antistanti gli stadi, dove recentemente la Digos sta viaggiando in lungo e in largo, dispensando querele dove possibile. Su tutto il romanzo aleggia lo spirito negativo del G8 del 2001, dove proprio a Genova si verificò la frattura più grande ed insanabile fra manifestanti e forze dell’ordine.
Il romanzo è quindi scritto molto bene, la storia è avvincente. Ma…ci sono dei grossi ma, come l’impossibilità di poter descrivere a fondo un conflitto così profondo ed autoalimentato come quello fra ultra e tifosi. Non è possibile spiegarlo con l’adrenalina o cos’altro, esiste e basta. Un altro obiezione è questo romanzo sia un tentativo di difendere o di normalizzare picchiatori in divisa, che hanno quasi sempre la più totale impunità e libertà difficili da comprendere anche in uno stato pseudo democratico come il nostro. Lo stadio è da decenni il laboratorio sociale della repressione, che colpisce attraverso la longa manus dello Stato, e il manganello è l’ultimo tratto dell’ingiustizia. A me leggendo questo romanzo è venuta ancora più rabbia, e il mio pensiero va a tutti i diffidati, in particolare a quelli di Genoa – Siena del 2012, e a chi si è vista la vita rovinata perché non vuol lasciare che lo stadio diventi un teatro. Il migliore studioso di ultras e dintorni rimane Valerio Marchi, altro che Riccardo Cazzaniga.
p.s. Perché nella copertina di A Viso Coperto è stato tolto il numero d’indentificazione del casco del carabinero cileno ? In Italia c’è una legge che vieta il numero sul casco ?