RIGASSIFICHIAMOCI !
Una nave rigassificatrice che converte il gnl trasportato da navi metaniere a 4 km dalla costa per una ventina d’anni, un breve tratto di tubo sottomarino che prosegue sulla terraferma lungo il greto del fiume Quiliano fino alla stazione di controllo del gas da dove poi partono due linee di metanodotti, uno con destinazione la centrale Tirreno Power di Vado e una linea di circa 30km con destinazione a Cairo M. dove si interconnette con la rete nazionale di distribuzione.
Tutto questo è la semplificazione dell’opera di estrema importanza per garantire la sicurezza energetica del paese proposta, cioè no, imposta dal presidente regionale, nonché commissario straordinario per l’opera, Toti, che veste i panni di un mero mediatore immobiliare che cura gli interessi di Snam anziché di coloro che dovrebbe rappresentare e tutelare.
Trascurati, ommessi e non affrontati i temi della sicurezza e dell’impatto ambientale in quanto occorre credere e fidarsi di quanto dichiarato dall’azienda costruttrice: massima sicurezza e nessun impatto ambientale rilevante.
Una nave come la Golan Tunder per la rigassificazione del carico tramite scambio di calore, atto a trasformare il gnl dallo stato liquido a -162°c allo stato gassoso, preleva 18.000 metri cubi di acqua marina ogni ora (circa 800.000 al giorno) scaricandola nuovamente in mare ad una temperatura dichiarata di 7° inferiore a quella di entrata. Alla suddetta acqua marina, al fine di evitare la formazione di incrostazioni nell’impianto, viene aggiunto ipoclorito di sodio (comune candeggina) in quantità dichiarate entro lo 0,2 mg/l corrispondenti a 86kg al giorno (31,6 tonnellate/anno). Periodicamente pare che in aggiunta all’ipoclorito di sodio vengano immessi, e poi scaricati in mare, bisolfiti non specificati. Pare non esistano studi su questi impatti, nel lungo tempo, sull’ecosistema marino; oltre ad essere in pieno “santuario dei cetacei” il mar ligure risulta essere, grazie alla presenza di vari canyon nei fondali in concomitanza con le correnti marine, il “fertlizzatore” di tutto il Mediterraneo occidentale, conseuentemente l’impatto ambientale ricadrebbe su una area molto vasta.
Viene dichiarato che per il normale esercizio – h24 per 365 giorni – vengono usati due motori da 24 megawatt (a titolo di esempio una comune panda ha un motore con meno di 60 chilowatt e 1MW=1000KW) con conseguente inquinamento atmoferico e acustico, quest’ultimo disperso anche nell’ambiente marino.
Per quanto riguarda la sicurezza emergono criticità per la struttura dei serbatoi della nave, del tipo a membrana, che non impedirebbero una vaporizzazione interna col calare dei contenuti, con la conseguente creazione di pressioni interne anomale in caso di rollio della nave dovute alle condizioni meteomarine. Contrastanti e opportunistiche risultano le varie relazioni sulla sicurezza, mentre a Piombino è stato dichiarato che la nave doveva operare all’interno del porto in quanto non adatta all’impiego in mare aperto: qui improvvisamente la stessa nave risulta certificata per operare in mare aperto. Attorno al rigassificatore di Livorno, posto a 22 Km dalla costa, esiste un’area di prescrizione, alla navigazione e ad altre attività, di 12 miglia marine (quasi 20km) di diametro, la stessa area qui comprenderebbe un’area di territorio in cui esistono città e paesi, esattamente come a Piombino.
La questione quindi non è come mai esistono queste difformità ma come si può riporre fiducia in chi dovrebbe garantire superpartes la sicurezza e la salute collettiva?
Siamo memori delle stragi avvenute in passato dovute alla lacuna di controlli sulla sicurezza, per esempio il crollo del ponte Morandi e dell’esplosione del vagone cisterna a Viareggio. Stragi di stato con responsabili che mai pagano le loro colpe mentre i lutti restano e sono ipocritamente ricordati da istituzioni complici.
L’opera prosegue con il nostro bel tubo alla stazione, denominata DPE o impianto Wobbe, dove il gas proveniente dalla nave viene controllato per il contenuto di impurità e, quando necessario, per raggiungere il giusto potere calorico richiesto dalla rete viene aggiunto Azoto (indice Wobbe). Oltre a ciò occorre adeguare la pressione del gas in arrivo a quella della rete, da 100 a 75 bar, per il raggiungimento e il mantenimento della pressione necessaria vengono rilasciate periodicamente, tramite appositi sfiatatoi, quantità di metano e ossidi di azoto nell’atmosfera senza considerare fuoriuscite involontarie. E’ stao calcolato che dall’impianto di Panigaglia sono disperse, fra fuoriuscite volontarie e fuggitive, 786 tonnelle/anno di gas.
Curioso notare come questo impianto, secondo la planimetria, sia a ridosso del limite di sicurezza dell’impianto petrolifero Sarpom posto sull’altra sponda del fiume Quiliano, l’ingresso dell’impianto è previsto ad un paio di metri di detto limite.
L’impianto occuperà una superficie di quasi due ettari ed è prevista in un’area agricola, soggetta quindi ad esproprio, su un territorio dove prevale la produzione agricola di qualità.
I nostri bei tubi ripartono dalla stazione e si diramano in due vie, una verso la centrale Tirreno Power e l’altra verso la Valbormida seguendo, come dichiarato dai promotori, la linea del metanodotto già esistente e, dove è necessario, viene usata la tecnica dei microtunnel; viene ommesso che i nuovi tubi saranno posizionati ad una distanza di 20 metri da quelli esistenti con la necessità di ulteriori 20 metri liberi dall’altro lato. La vecchia linea sarà rimossa in tempi successivi all’entrata in funzione del nuovo impianto, ciò comporta un ulteriore scavo con unteriori 20m di spazio libero. Un totale di 60 metri di larghezza di disboscamento per la lunghezza della linea. Non è dato sapere se, dove usata la tecnica dei microtunnel, si intercettino eventuali falde acquifere e rocce con presenza di amianto, lacune informative pesanti.
Si termina poi con la stazione di inserimento nella rete nazionale nei pressi di Rocchetta di Cairo dove occorre una nuova regolazione della pressione del gas con le problematiche già viste nel DPE a Quiliano.
Questa premessa tecnica è stata necessaria per capire come il nostro territorio e tutta la Liguria sia, negli ultimi tempi, una terra di conquista per gli interessi della macroeconomia. Un territorio da colonizzare senza alcun rispetto per l’ambiente e per chi lo vive, in nome di emergenze di vario tipo che porteranno benefici economici esclusivamente alle aziende mentre al territorio resterà solo la devastazione.
Fondamentale non cadere nel tranello di fantomatiche compensazioni o ricadute occupazionali, salute e ambiente non dovrebbero avere un prezzo.
Troppo spesso dimentichiamo, in nome del progresso, quello che è il passato del nostro territorio, la vicenda Tirreno Power, con un processo ancora in corso per disastro ambientale, non è lontana nel tempo; più lontana la storia dell’Acna di Cengio. Ignorare o dimenticare, come spesso fa comodo, è un tradimento nei confronti di chi ha lottato per cambiare uno stato di cose, è un insulto a tutti coloro che hanno avuto malattie o sono morti a causa delle sostanze nocive respirate nel corso del tempo.
Sull’onda della rabbia si sono costituiti comitati spontanei di cittadini e coordinamenti di associazioni che, supportati anche da esperti, hanno informato tramite iniziative pubbliche gli interessati proponendo, per ora, azioni di contrasto solo a livello istituzionale, tramite ricorsi e osservazioni da inviare agli organismi preposti; ciò dovrebbe essere il compito dei soggetti politici ma purtoppo, salvo la posizione del sindaco di Quiliano, questi mantengono un equilibrio precario senza mai schierarsi apertamente.
Forze politiche minoritarie sono confluite in un coordinamento dove, ma a fianco di realtà che da sempre sono in prima fila nella lotta per l’ambiente e la salute, e, purtroppo in nome della trasversalità della lotta, è presente una forza neofascista mascherata da partito democratico.
Si ripete, con le stesse modalità, quello che è avvenuto poco meno di un anno fa a Piombino con la differenza che sul nostro territorio si sono ribaltate le posizioni della politica, il centro sinistra si sta schierando contro il rigassificatore contrariamente a quanto avviene nel resto della penisola dove ne sono i promotori. Il contrario per il centrodestra che qui promuove il progetto contrastato altrove.
L’indifferenza e la disinformazione diffusa fra le persone porta a focalizzare il problema a livello esclusivamente locale distogliendo l’attenzione dal problema in toto, ben venga lo spontaneismo costruttivo se non si riduce a semplice individualismo impegnato nella guerra fra poveri, il nemico è altrove, sempre sopra di noi. Necessario quindi costruire un percorso di lotta con un obbiettivo comune da portare avanti con il contributo delle varie forze, ognuno con le proprie modalità e con la propria sensibilità, sapendo che questa non sarà una lotta semplice né tantomeno breve.
Occorre lottare contro l’ennesimo sfregio al territorio unendo questa lotta a tutte le altre lotte in atto per la salvaguardia del nostro ambiente, dannoso è il rigassificatore come il prospettato, in questi ultimi giorni, termovalorizzatore in Valbormida. Dannosa è la campagna a favore dell’estrattivismo sul Beigua ed in val Graveglia ( https://www.facebook.com/NOallaminierasulBeigua/?locale=it_IT ). Dannoso è il riproporre la costruzione della diga in valle Argentina a Badalucco. Dannosa è la nuova maxidiga foranea di Genova, la funicolare dei forti ed il progettato tunnel sottomarino sempre a Genova.
Vogliono che si continui ad inseguire un fantomatico progresso col conseguente incremento del fabbisogno energetico, ciò ci riporterà allo sfruttamento di energia prodotta col nucleare. Si parla di transizione energetica ed energie alternative senza creare le condizioni affinchè queste siano fruibili da tutti, si verrà a creare una nuova fonte di disuguaglianza sociale.
Non è mai affrontata una politica volta alla riduzione dei consumi energetici, la macchina del progresso sta finendo il carburante e presto proseguirà per inerzia fino a fermarsi del tutto a meno che cambi la modalità d’uso.
Per la parte tecnica si fa riferimento al progetto pubblicato sul sito di regione Liguria, altre informazioni sono ricavate da ricerche le cui fonti sono pubbliche e possono essere dimostrate.
Rigassificatore a Savona
Vale per Piombino come per vado Ligure.
Piombino (LI) – Intervistato il 28 luglio il Professor Corrado Malanga, ex ricercatore universitario presso il dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa, sul tema dell’istallazione di un nuovo rigassificatore galleggiante all’interno del porto di Piombino. Nell’intervista sono state evidenziate le principali criticità del progetto presentato da SNAM, a partire dall’uso dell’ipoclorito di Sodio, successivamente depositato in mare e la diminuzione di temperatura delle acque. L’intervista ha anche affrontato lo spinoso tema del rischio industriale di quel tipo di impianti. Buona Visione.
Ma cosa è un rigassificatore?
Un rigassificatore è un impianto industriale che permette di riportare il gas naturale liquefatto (GNL) dallo stato liquido a quello gassoso. Il GNL è un gas naturale che è stato raffreddato a -162 °C, in modo da ridurre il suo volume di circa 600 volte. Questo lo rende più facile da trasportare su nave, rispetto al gas naturale allo stato gassoso.
Il processo di rigassificazione avviene in tre fasi principali:
- Rilascio del GNL dal serbatoio di stoccaggio: il GNL viene pompato da un serbatoio di stoccaggio in una serie di scambiatori di calore.
- Riscaldamento del GNL: il GNL viene riscaldato tramite scambiatori di calore, utilizzando acqua di mare o vapore.
- Espansione del GNL: il GNL riscaldato viene quindi espanso, aumentando il suo volume e tornando allo stato gassoso.
Il gas naturale rigassificato viene quindi immesso nella rete di distribuzione del gas naturale, dove viene utilizzato per alimentare le centrali elettriche, le industrie e gli utenti finali.
I rigassificatori possono essere realizzati a terra, in mare o su navi. I rigassificatori a terra sono i più comuni e sono generalmente situati vicino al mare, in modo da poter ricevere il GNL via nave. I rigassificatori in mare sono installati su piattaforme offshore e sono utilizzati per servire regioni remote. I rigassificatori su navi, chiamati unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione (FSRU), sono una soluzione flessibile che può essere utilizzata in qualsiasi luogo, anche in zone con scarse infrastrutture.
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