Devo dire che ho conosciuto questo libro per caso, più che altro per un appunto della newsletter di http://www.Informationguerrilla.org ( splendido sito, visitatelo), e leggendo la prefazione di Valerio Evangelisti mi sono convinto ad acquistare questo libro.
Tanti libri sono stati scritti sull’119, anche se in Italia ne sono arrivati pochi rispetto ad altri paesi. Personalmente ne ho letti molti, da Meyssen a Rodriguez, ho visionato molti filmati, visto molti siti internet. Inutilmente.
Bastava prendere il libro di Quaglia, Qui c’è tutto quello che occorre per farsi un’idea, anzi più idee di quello che è successo quel giorno di settembre.
Ma Quaglia, fa molto ma molto di più. Offre al lettore una quantità di scenari possibili, dove il lettore può scegliere il suo, e tutti fondati. Dai dati fisici alle teorie ufologiche, qui si trova tutto. L’autore è un noto scrittore di fantascienza, conosciuto molto nei paesi dell’est europeo, come l’Ungheria, piuttosto che da noi. E come scrittore di fantascienza è abituato a vedere sopra , sotto, e oltre la realtà Perché qui si và oltre la realtà, e ben oltre l’immaginazione.
Benvenuti al cinema, dove si stà proiettando la storia dei nostri giorni, con noi come spettatori rincoglioniti. Quaglia, in poche parole, ci offre la pillola blu o la pillola rossa, come Morpheus in Matrix : a noi la scelta. Roberto ci dà i dati in maniera del tutto disincantata, e spiega la sua posizione nell’introduzione. Anzi, fa di più, scrive un capitolo su come screditarlo, dedicato a quei giornalisti che vorranno smontarlo nelle loro recensioni allineate.
Nel libro si parla di tutto, l’119 è un punto di partenza, certamente la nuova Pearl Harbour, ha un ruolo centrale nel libro., ma si può trovare di tutto. A partire dall’economia, a mio avviso una chiave di letture importantissima per capire i fatti attuali. E si parla anche dei grandi contrasti all’interno dell’intelligence e dell’esercito americano, con ripercussioni globali. Perché c’è qualcosa o qualcuno che stà portando l’uomo verso qualcosa di molto pericoloso, il piede è pigiato sull’acceleratore, e la destinazione finale non si conosce, ma la si può tragicamente intuire.
Questa recensione è estremamente riduttiva per spiegare l’immenso valore di questo libro, per me il libro dell’anno e molto di più. La ragione stà nell’estrema accuratezza di Quaglia, nelle sue meticolose ricerche, nel suo splendido modo di scrivere, ma soprattutto nel la sua disincantata maniera di vedere il mondo, che mi trova molto d’accordo. Se alziamo il velo della superficialità in cui ci vogliono e ci vogliamo rinchiudere, potremmo vedere una visione della storia passata presente e futura molto diverso da quella che ci raccontano. Ma noi abbiamo un grandissimo mezzo : INTERNET.
La rete ci offre mille modi e possibilità di capire la realtà, certamente si deve fare un grande lavoro di discernimento per poter superare fumosi trabocchetti, ma la rete è l’unico posto dove si può ancora ricercare qualche verità plausibile, e non dobbiamo permettere nessuna censura, perché la grande battaglia del nostro tempo è la disinformazione. Un esempio l’ho vissuto sulla mia pelle nei Paesi Baschi, parlando con la gente ti accorgi che la storia dell’ETA è molto ,ma molto diversa da quella che ci raccontano, tanto per dirne una. Non mi stancherò mai di consigliare questo libro, è fondamentale. “Abbiate pazienza se con quest’ultimo capitolo vi lascio senza nessuna certezza, ma, come il metodo scientifico insegna, le certezze sono in definitiva le più grandi nemiche della verità.
Le risposte definitive sono solo lo strumento con il quale uccidiamo le domande, così che la smettano di disturbarci. E mi sembra di rendere un migliore servizio uccidendo invece le risposte definitive, COSI’ CHE LE DOMANDE POSSANO PROLIFERARE, com’è umano che sia. La crescita “demografica” delle domande è il segno di una civiltà illuminata. . O era appena terminata. Mi trovavo in una spiaggia nell’estremo nord della Spagna, tra i paesi baschi e la città di Santander. Era d’estate, nel primo pomeriggio. Sto leggendo con accanto l’Oceano Atlantico, o meglio il vento gelido di quel mare. Era caldo e freddo insieme, in una piccola città di pescatori. Il libro era “meno di zero” di Bret Easton Ellis. Finisco il libro alla sera, chiuso in un albergo e vedo il neon della stanza oscillare, ho la nausea e l’aria è viziata.
Il linguaggio del libro sembra riferirsi all’ Hemingway di “Fiesta”. I protagonisti passano da una festa all’altra, dove pare che suonino gli X. Siamo a Los Angeles. Siamo in perenne attesa di qualcosa, di un concerto, di uno spacciatore, non certo di una corrida. Leggo poi altri libri di Bret Easton Ellis, poi Trainspotting di Irving Welsh e quindi lascio perdere. Questi libri li consigliavano le riviste di musica. Viene specificato sul retro di copertina che questi sono i riferimenti letterari dell’autore.
Mi anche il cinema di Tarantino, aggiungo io. Leggo il libro e subito dopo le note biografiche dell’autore. Stefano Lorefice è nato nel 1977. Strano leggere un libro di un autore che ha otto anni meno di te. Forse per buona parte dell’ultimo secolo questa differenza di età non aveva una grande importanza. Ora appaiono come secoli. Quando l’autore muoveva i suoi primi passi, io avevo dieci anni e per le strade si respirava un’aria greve, satura di inquietudine. Gli anni di piombo, si diceva. Sui marciapiedi poi, stazionavano gruppi di tossici. L’eroina era la compagna di vita di tantissima gente. Alcuni di loro erano stati i tuoi compagni di infanzia, di giochi.
La televisione, il cinema, la radio in fondo dovevano essere rassicuranti. Era quello il modo per evadere allora, dalla realtà. Poi in poco tempo è diventato il contrario. La violenza è un film, un videogioco. Chissà dove è finita la rabbia nelle strade, nei quartieri, nel luogo di lavoro.Forse per questo la violenza di questo libro, non ha per me lo stesso significato che ha per l’autore. Certo è scioccante, ma in modo differente. Scorre a fiumi come la musica. Perché il libro è una enorme colonna sonora, dove c’è spazio per un solo libro di Haruki Murakami, altra ossessione dell’autore, fin dal titolo del libro.
Ora c’è di più rispetto a Ellis, Welsh, o di meno a seconda delle opinioni. Non ci sono più luoghi letterari, non c’è un paesaggio, un volto, una storia personale prima o dopo, da recuperare o da lasciarsi alle spalle. Ci si muove senza motivi apparenti. In una pistola vengono caricati quindici colpi, ma ne vengono sparati molti meno. A volte la scrittura sembra avere lo stile delle catene di messaggi che inondano la posta elettronica. Dicono che sono cose ironiche e divertenti. A volte invece si fa tutto delirante, come se davvero da qualche parte, in qualche bar servissero l’assenzio.
Allora, in questi momenti, in questi (non) luoghi non se ne esce benissimo da questa lettura. Per questo forse vale la pena di acquistare questo libro.
Ed. Clandestine.
Recensione del 2007