L’autore di questo libro, Mani Shankar Mukherji, meglio conosciuto come Sankar, è uno dei più grandi scrittori indiani in lingua bengali.
Il romanzo è stato scritto nel 1962 con il titolo Chowringhee (dal nome del quartiere di Calcutta): considerato una delle opere di maggior respiro della letteratura bengalese, Hotel Calcutta, dopo aver riscosso un buon successo di pubblico all’epoca della pubblicazione, è stato recuperato e ripubblicato in lingua inglese nel 2007.
In una recente intervista Sankar spiega come ha scoperto Chowringhee, quando era un venditore ambulante e un pulitore di macchine da scrivere.
Ma veniamo al libro: anni cinquanta, Calcutta; il romanzo è un banchetto di storie servite da un narratore con gli occhi spalancati e piuttosto confuso di nome Shankar.
Lo Shahjahan diventa per Shankar un luogo di lavoro e di crescita e, considerando le sue origini umili, la sua posizione lavorativa è di tutto rispetto. Inizia un’ avventura tra le stanze del più celebre hotel di Calcutta, palazzo che più che di un edificio ha tutto l’aspetto di una vera e propria città nella città, con i suoi abitanti, le sue storie, ballerini, lazzi e frizzi.
Il racconto diviene imperdibile anche e soprattutto per il fascino dei tanti personaggi, così vivi e reali in una Calcutta già corrotta e viziata.
Uno ad uno, le partenze, i licenziamenti e le morti distruggono questa banda di sotto-scale di fratelli e sorelle. Lo scrittore ritiene che “nessuno di noi è interessato alla storia della felicità“, e forse proprio per questo il libro spesso passa da una risata alle lacrime nelle stessa pagina. “Nulla può sfidare l’eternità e tenere in piedi a Calcutta“.
Un libro affascinante pieno di vita e di imprevedibilità.
Dammi non solo le tue parole
Amico mio, mio caro
Di tanto in tanto fa’ sentire
Il tuo tocco sulla mia anima.