“Santi e madonne”
Sboccava sangue di Giuda dalla caraffa di Mustafà Citammuert, corrente che portava via i correntisti contenti di non essere arrivisti, eppure traguardi in vista non ne avevano in pista e correvano discorrendo così:
– Chi lo sa se è proprio sesamo o papavero chiodato di mucca indorata sacra?
– Quantunquamente sia, che ci si riprenda dal parapiglia generale dopo l’amara spigolatura avuta lì per lì.
– Oramai siam passati sur le Pont d’Avignon!
– … e, eh, bevendo Dom Pérignon!
– Oh, suvvia, è sicuro che non ci sarà nessun Armageddon.
Baaahh!
Frizionava il verme man mano che la manna scendeva di tono. Semiminima china, la si smembrava nel campo delle fragranze olfattive: scarse le finanze, alte le frequenze, collettivo il bisogno affettivo dei colletti bianchi stirati a vapore.
Ah, Sensei, se il sei fosse nove, le Biancaneve risorgerebbero dalle collette di zucchero, pur sempre buono per quel poco di buono del ciambellano e buon pure per il ciauscolo d’Ascoli col caffettano; chi si affretterebbe ad affettare la torta al caffè, che assapora di tè, con quel gusto angusto delle 17:00 h. pregresse incuneatesi nella carne in guisa di spine di corona sanguinolenta durante la Messa violenta a bagnomaria nella tuta spaziale?
Giust’appunto che il nemico ginnico astrale, stanziale, finanche coassiale, celebrava bonariamente a menadito la tavola imbandita col gomito del tennista ingessato, in seguito bendato il gesuita, mentre l’olio d’oliva del lumicino santo si incendiava salmodiando calmo, sereno: emetteva bagliore rosso-verdino, proprio di mondi saturnini, giustificando lo scippo in technicolor quale estrema ratio.
Oh, lo so bene, lo-so-bene, e ciò usava bene per il ragionere che ticchettava e ticchettava e ticchettava, a raffica, come una sveglia analogica: “GOOD MORNING SISTER VIET-NAM!”, urlava dgtnd scheletrico lo schietto americano al popolo sovrano, tanto ci rimetteva soporifero il mulattiere che allo stalliere rendeva alta la
stella tempestata dalla felice alma di Varenne, proprio il centauro cosmico della Venere d’Urbino.
2 risposte
Bob-Accio si bea di vergare frasi ermetiche e surreali come un quattordicenne fantasioso.
E questo va a suo merito.
Come un ragazzo sa osare espellere il suo caotico, cacofonico, groviglio erotico-emozionale.
Sa osare spiattellare il suo immenso e ignoto inconscio.
E come un ragazzo teme di scoprire agli altri cio’ che di se’ e’ sconosciuto anche a lui.
Ma vuole essere notato, vuole essere indagato: ” io sono qua, dietro a questa maschera di parole, oltre I nonsensi c’e’ il mistero della mia esistenza.
Perche’ anche io so affrontare il mio meraviglioso ignoto ”
Cosa e’ lo Zen se non il gioco mistico-criptico-adolescenziale-giocoso del giocare a mosca cieca con pallide micro-interpretazioni del misterioso caos della vita.
Ed usa gli strumenti che in qualche modo solletichino la curiosita’ per tutto cio’ che e’ nascosto e segreto.
Vuole eccitare la fantasia musicale con fraseggi di imberbe poetica :
” … i correntisti,
contenti di non essere
arrivisti,
eppure traguardi in vista
non ne avevano in pista…”
Arte moderna e astratta che non vuole piu’ la pseudo verita’ dei dettami grammaticali e sintattici.
” La vita e’ mistero, e incodificabile”, sembra volerci dire Bob-Accio, ” e io voglio viverla, esprimerla e cantarla per come io la sento dentro di me. Agli altri il gioco di comprendermi e… forse… un poco giocare come me !”
Complimenti Bob-Accio, non smettere mai di essere un ragazzo.
– Finalmente oltre il limite.
Non piu’ legami ne dipendenza.
Come e’ calmo l’ oceano,
Che sovrasta il Nulla.
– Poesia Zen –
” Vendi il tuo ingegno
E acquista lo Stupore ! “
– Ialil-dim Rumi-
Grazie Epi x la attenta ‘critica’, mi fa contento la tua visione, certo non mancando un bel pizzicotto di dadaismo. Ciao.