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Recensione : Schiavi Nella Città Più Libera Del Mondo Di Laura Carroli

Difficile che i tipi di Agenzia X facciano un buco nell'acqua. Ogni qual volta che si cimentano con la storia del punk italiano il risultato è sempre il medesimo.

Schiavi nella città più libera del mondo di Laura Carroli

Difficile che i tipi di Agenzia X facciano un buco nell’acqua. Ogni qual volta che si cimentano con la storia del punk italiano il risultato è sempre il medesimo. Un quadro dettagliato e fedele a quello che è stato. Anche perché sono gli interpreti originali del tempo a raccontarlo in prima persona, attraverso le dettagliatissime testimonianze dei fatti che li hanno visti diretti protagonisti.

Per chi ancora non li conoscesse, i tipi di Agenzia X sono un collettivo contro-culturale che fa della condivisione ideologica tra le diverse anime espresse dalla cultura underground il proprio credo. Il loro è un tentativo di diffusione tramite saggistica, narrativa e autobiografie, di quei valori che hanno fatto la storia dei movimenti giovanili italiani attraverso un catalogo che spazia in tutte le realtà controculturali dell’ultimo mezzo secolo. Il punto di forza del loro lavoro sta proprio nel fatto di raccontare i fatti senza filtro, ammettendo errori sia in fase di valutazione che di scelta.

Non ci sono buoni e cattivi, come non ci sono cose giuste o sbagliate, ma solo la necessità e l’onestà di raccontare tutto in modo quanto più chiaro possibile, senza risparmiare (auto)critiche sia dei singoli che dei movimenti. “Schiavi nella città più libera del mondo” è il terzo volume che ospitiamo su queste pagine, dopo “Lumi di Punk” e “Costretti a sanguinare“, i due saggi di Marco Philopat Galliani usciti a distanza di un decennio sul fenomeno punk italiano e milanese in particolare.

“Schiavi nella città più libera del mondo” è il primo contributo in qualità di scrittrice di Laura Carroli, figura a suo modo storica all’interno della scena punk. Laura è stata una delle primissime donne punk italiane, indiana metropolitana prima, insurrezionalista e batterista dei Raf Punk poi, fino a chiudere come co-fondatrice dell’etichetta indipendente Attack Punk Records, ideata e creata sulla falsa riga della Crass Records inglese. Etichetta nata come inevitabile appendice della Attack Punkzine e diventata sin da subito il punto di riferimento per il movimento punk italiano, dando alle stampe album seminali come il debutto dei CCCP, quello dei Disciplinatha, ma anche altri dischi epocali come quelli di Rivolta dell’Odio, dei Contropotere, e I refuse It!

La scelta del titolo prende vita come tributo a quella che fu la prima uscita discografica dell’etichetta, lo split a quattro con Anna Falkss, Bacteria e Stalag 17 ad affiancare i suoi Raf Punk, ma anche dagli slogan delle proteste relative allo sgombero dello spazio sociale Atlantide a Bologna di alcuni anni fa.
Il romanzo della sua vita parte con la scoperta del mondo punk da parte di un’adolescente che come tante altre si torva a vivere un’esistenza satura di insofferenza e insoddisfazione. Ce ne sono a decine in tutta Bologna. Ognuna con la sua storia personale più o meno sovrapponibile a quella di Laura. La sua voce è quella di una persona (oggi) totalmente disincantata, che ha vissuto un’epoca “storica” e ne parla con sincerità, senza risparmiare critiche. Ci racconta la nascita del movimento punk italiano “da dentro”, mettendo realmente a nudo vizi e virtù di una decina di anni di storia grazie al racconto quasi quotidiano della sua vita, tra la famiglia, il lavoro alle poste, il rapporto di coppia, il gruppo musicale e ovviamente la politica “attiva”. È tutto scritto nel mondo più semplice possibile, per permettere a chiunque di entrare a fondo nei suoi ragionamenti e provare a evitare gli errori di chi lo ha preceduto. Perchè, è inutile girarci intorno, di errori ne sono stati fatti e anche parecchi. Ma era giusto andare in quella direzione, mettendo in preventivo fallimenti che si sono poi puntualmente materializzati.

Erano anni in cui si lottava in nome di un ideale, non di un obiettivo a seconda della sua raggiungibilità o meno. Era legittimo ribellarsi con le armi che si avevano a disposizione, ma era soprattutto legittimo ribellarsi. Anche solo per provare a sconfiggere l’apatia del quotidiano, per dare un segno di vita in una città che non era affatto libera e non era affatto la migliore del mondo, nonostante ciò che ne pensassero gli amministratori locali. La loro era una lotta che andava in direzione di un cambiamento che sentivano necessario, sia da un punto di vista personale che sociale, che andasse a scontarsi e demolire uno stato di cose immobile da troppo tempo. Laura nelle pagine del suo libro si mette letteralmente a nudo, con uno stile diretto, che scende nei dettagli del suo privato, dalla forte connotazione (auto)critica.

Di pari passo con le sue esperienze personali ci racconta un mondo che stava cambiando, in cui riesce a incastrare la storia dei Raf Punk, il gruppo in cui suonava la batteria. Ruolo che letteralmente improvvisò, sulla scia ideologica del “Chaos non musica” manifesto anarco pacifista dei milanesi Wretched, secondo cui non occorreva avere tecnica musicale per suonare punk, ma bastava la volontà di andare al di là della musica in quanto tale, con un approccio “anti-musicale” che esaltasse la disperazione esistenziale di chi lottava per una società libera dalle imposizioni borghesi militari e capitalistiche. In tutto questo Laura ci racconta di aver vissuto il punk non solo come fenomeno musicale, ma anche come modello di vita, come attitudine, come tentativo di socializzazione e sradicamento di un’oppressione che considerava inaccettabile. La sua, anzi la loro, allargando il ragionamento a tutti coloro che in quegli anni fecero il suo stesso percorso, fu una scelta di intransigenza nei confronti di una società che negava ciò che Laura ha sempre considerato come fondamentale, l’uguaglianza ad ogni livello.

Il romanzo racconta una storia che si perde tra le occupazioni di Bologna, i concerti, i dischi, le nebbie della bassa padana e la sempre affascinante e magnetica Londra, meta di ogni viaggio, in cerca di dischi, fanzine e di insegnamenti, stimoli e consigli da parte di chi il punk lo ha inventato, vissuto e capito prima e meglio che in Italia.

Se guardiamo tutto questo con gli occhi di chi oggi per la prima volta approccia questa realtà non possiamo non chiederci “chi siano (stati) i punk?”. Rispondere è semplicissimo. Giovani e giovanissimi che si sentivano emarginati e alienati da una società che non ammetteva “i diversi”. Ragazzi annoiati da una quotidianità che non permetteva loro di guardare al domani con speranze che andassero oltre il “produci consuma crepa”. Giovani insoddisfatti che vedevano nel punk la possibilità di dare sfogo alle loro esigenze espressive e sociali. Essere e sentirsi punk era il loro modo per sentirsi liberi. E non più schiavi delle convenzioni sociali familiari, scolastiche, lavorative, sociali, politiche. Che poi, è esattamente tutto ciò che probabilmente manca alle nuove generazioni, passivamente abituate ad avere tutto e subito. Se è chiaro che il mondo di Laura non tornerà mai più, resta però questa sua testimonianza da tramandare a chi non ha avuto la fortuna di vivere l’intensità di quegli anni.

Come monito per un domani che possa essere davvero più inclusivo.

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