A me mi piace il Punk Rock (fanculo, l’Accademia della Crusca dice che “a me mi” si può dire) e, in quanto ascoltatore di Punk Rock ascolto un sacco di dischi Punk Rock, ma proprio tanti…
“ma non ti viene a noia?”
A volte, ma mai quanto il genere umano: attraverso periodi durante i quali ascolto derivati del Punk Rock o robe che hanno generato il Punk Rock, ma comunque il Punk Rock rimane una costante.
“Ma che cos’è, alla fine, il Punk Rock?”
Non lo so, in fondo so solo che tira, scalcia, morde, ferisce, tira dritto fino al punto e non è che si lasci impressionare da quelli che dicono che sia morto, che sia solo un revival, che sia solo un luogo comune ripetuto nei secoli per un branco di nostalgici agguerriti.
Scalcia, morde, ferisce, tira dritto fino al punto e buonanotte a tutti quei pensieri da punk per una stagione e ascoltatori annoiati per il resto della vita.
“Science Man è Punk Rock?”
Scalcia, morde, ferisce, tira dritto fino al punto, questo ve lo scrivo e ve lo sottoscrivo, lo firmo e controfirmo.
Canzoni spietate da guerriglia, i Motorhead in vacanza premio che si sbronzano di Whiskey, scazzottate e dischi dei Melvins e dei Tad.
Non ci si riposa mai, neanche in vacanza premio, perché il Punk Rock è un’altra vita ancora; una vita vera, vissuta attimo per attimo, senza soste e senza sovrastrutture; Science Man è un campione di furia, dissonanza, rabbia e celia. Si beffa di noi con pezzi che sembrano cattivi ma che in realtà son divertenti e spigliati, prova concreta di una scrittura sapiente che sa che note suonare (o non suonare), che accenti dare (o non dare), a quanti BPM correre per smuovere meccanismi empatici in chi ascolta.
L’unico attimo di requie, per così dire, è posto sapientemente nel mezzo, Adventure Spit: venata di inquietudini e pace prima dell’ovvia tempesta (quindi no, non è una vera e propria sosta, anzi: non lo è per niente); una cascata di rumore e furia e velocità è quel che è stato finora, dunque perché nel suo proseguo dovrebbe essere altrimenti?
E difatti riparte come una mina con The Sign fino all’ovvio sfracellarsi di Old Timer.
Un disco, questo Nines Mecca, che già dal titolo e dalla copertina sembra volersi richiamare a simbologie e pratiche pagane;
insieme a questo disco, forse volendo confermare e rafforzare questa tesi, è stato portato a compimento anche un lavoro visuale, cinematografico mi vien da dire:
https://youtube.com/playlist?list=PL1_Yvb7EyPxjDyhcrgWexe-wH0eRNalcq
Ad ogni pezzo del disco corrisponde un videoclip; roba alla buona, girata con pochi mezzi e con un budget risicato, ma un’opera che diventa necessaria in relazione al disco:
rivivo, durante la visione, e non senza un certo entusiasmo, il cinema sperimentale dei Bunuel, dei Makavejev e del primo Tinto Brass con riferimenti a quel cinema Folk Horror di Wicker Man fino anche a Midsommar e The VVitch.
Un’opera che si potrebbe tranquillamente definire completa visto che, non paga di riempirci di suggestioni sonore, ci delizia anche con dei videoclip ben fatti e altrettanto suggestivi.
E, in tutti i suoi aspetti, tira, scalcia, morde, ferisce e tira dritto fino al punto.