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Recensione : Scrittura Industriale Collettiva – In Territorio Nemico

115 autori e la Resistenza: un romanzo storico corale.

8 settembre 1943. La voce di Eisenhower riecheggia dalle casse di Radio Algeri alle 17:30, per annunciare l’armistizio, e l’Italia, un po’ indecisa se esultare, si ritrova divisa in territorio libero e territorio occupato.
Questo è il Territorio Nemico in cui i tre protagonisti sono costretti ad affrontare, ciascuno a modo proprio, la disperata maratona che li separa dall’incerto 25 aprile.

Adele, l’“Attrice”, stretta nella morsa della fame in una Milano sfumata, deve lavorare per la prima volta nella vita, in fabbrica, e scopre sulla propria pelle la difficoltà di un’esistenza macchiata dalle troppe esigenze quotidiane.
Un disagio che non è solo concreto, ma morale e sociale, e che la condurrà tra le file del GAP. Ha un marito, ma suo marito è Aldo, ingegnere aeronautico che lavora per lo Stato e che scappa senza preavviso nella casa d’infanzia, vicino a Lodi, per il terrore di essere deportato: il suo disagio, invece, è tutto psicologico.
Infine c’è Matteo, marinaio della Marina militare colto dall’armistizio al largo di Gaeta, che, costretto a separarsi dai compagni, si arrampica su per lo stivale macinando centinaia di chilometri a piedi, nel tentativo di ricongiungersi alla sorella, Adele.
Lungo la strada incontra tedeschi, fascisti, americani, e fa un viaggio attraverso la Resistenza, collaborando con i socialisti, combattendo al fianco delle Brigate Garibaldi e di un gruppo di anarchici.

In Territorio Nemico è davvero un’esperienza.
Prima di tutto alla scoperta di 115 penne che si sono rincorse e sovrapposte per scrivere un solo romanzo. La tecnica è quella di SIC, Scrittura Industriale Collettiva, ideata da Gregorio Magini e Vanni Santoni, direttori artistici anche di questo progetto in particolare.
Semplificando, funziona così: il Direttore artistico individua un soggetto, una trama di massima e dei personaggi appena abbozzati;organizza un gruppo di lavoro ed estrae dal soggetto delle schede, che distribuisce ai vari scrittori.
Fissa delle scadenze imprescindibili e una serie di tranche in cui suddividere la lavorazione. Raccolto tutto il materiale, inizia a montarlo pezzo per pezzo, proprio come un regista cinematografico.
In quest’occasione l’impresa dev’essere stata davvero imponente, visto il numero dei partecipanti, che fanno di In Territorio Nemico il romanzo scritto dal maggior numero di mani al mondo.
La sua ricchezza sta proprio qui, nella moltitudine di voci che ne fanno parte.
Esperienze e conoscenze diverse, origini e testimonianze, vengono accumulate tratto per tratto, per raccontare una sola storia.
Le sfumature si intrecciano in un mosaico i cui tasselli si incastrano perfettamente, fra dialetti del Nord (“Si vi adattate a fà l’uperaia…”) e del Sud (“Tu tiene ’nu santo ’nparavise”), sapori e addirittura vestiti che hanno il profumo di tradizioni perdute.
Ma è nell’ideologia che i 115 scrittori danno la miglior prova: la Resistenza unisce, ma l’idea poi divide. L’affresco di impressioni raccolte da Matteo, che incontra socialisti, comunisti e anarchici, descrive la comunanza nella lotta che porterà alla Liberazione, ma anche le differenze che emergeranno subito dopo.
Nei piccoli gruppi partigiani, alle assemblee, si raccolgono i pezzi di quel dibattito che ha accartocciato la sinistra all’inizio della Prima Repubblica.
Finita la guerra, inizia la corsa, fra vittorie e sconfitte che hanno un sapore diverso da quello del piombo, e i confini non sono più tanto chiari.
Dalla presa di coscienza di Adele (“la potevano chiamare Attrice, ma non lo era più, se mai lo era stata, perché ormai era come tutte le altre. Anche lei faceva turni inumani, anche lei tornava a casa distrutta la sera, anche lei faceva la fame, anche lei era scesa in sciopero”), ai festeggiamenti tinti di una cupa nostalgia alla fine (“presentiva la storia ritirarsi dalla vita di ognuno, espulsa dalla brama di quotidianità”), il percorso è lungo, soprattutto dal punto di vista umano.
Fra le parole inizio e fine c’è la Storia, che spezza le abitudini, travolge gli italiani che lottarono credendo in una forza nuova e potente, una passione popolare e libera.
Il lettore vive tutto il percorso, respirando forse un po’ di quel (neo)realismo che Alicata e compagni inseguivano nel dopoguerra, quello stesso che Calvino invidiava a Fenoglio.
È difficile non pensare infatti alla raccolta I 23 giorni della città di Alba, che riesce a descrivere le imprese, ma anche l’umanità spietatamente reale di quegli anni.
Eppure, oltre alla crudezza di un’epoca così vissuta, oltre alla ruvida realtà che costringe l’Italia a levigare i sogni più disparati, c’è l’unione delle persone che della Resistenza e della Liberazione hanno costituito l’anima.

In Territorio Nemico racconta i fatti, la verità, gli ideali, ed è, grazie alla scrittura collettiva, la realizzazione del romanzo storico corale.

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