A dispetto delle ispirazioni dichiarate (Hank Williams, DeAndrè, Beck, Johnny Cash, tra gli altri), al primo ascolto del 7″ di Second H.Sam mi è immediato il paragone con Kid Congo Powers, e i suoi Monkeys Bird.
Infatti Samuele Gottardello, già membro dei conturbanti Hormonas, di John Woo, e dei Buzz Aldrin di Bologna, presenta una spiccata attitudine a rimasticare il suono in chiave sbilenca e ironica, e come chewing gums ciancicati ci sputa davanti quattro pezzi che restano comunque succosissimi. “Sick about You and I”e “Prieto Spring”, sono immerse nell’onirismo liquido che tanto mi rammenta il blues denso di riverberi dell’ex componente di Cramps e Gun Club, un Nick Cave (ispiratore, questo, accreditato) naufrago felice accudito da polinesiane ubriache interpreta “Cherie Cherie Maria”, mentre la dolce ballad “Mama was Right”è una sorniona, malinconica ninna nanna country. Quattro pezzi assuefacenti (già smanio per qualcosa di più largo respiro), quattro parti di un giocattolo a molla retro-future, quattro bon bons lisergici “incartati” nelle illustrazioni dall’artista Mattia Lullin, per la decima uscita dell’etichetta Shit Music for Shit People, fondata nel 2008 e ora in base stabile tra Torino e Lisbona, con la scelta di produrre solo vinili e audiocassette, la stessa di Vermilion Sands e il duo torinese Vernon Selavy.
E si passa in altre mani, strane mani, ma affidandoci sempre al fiuto della SMfSP con i francesi Strange Hands, usciti invece in maggio, undicesimo release dell’etichetta, in collaborazione con la francese Azbin Records; si tratta di “Dead Flowers”, debutto di questa garage band di Bordeaux, che già nella copertina, opera dell’artista Lucas Donaud, ideatore delle locandine del tour estivo europeo (che non promette-ahimè- date italiane), è una dichiarazione di intenti in quanto a psichedelia. E’ un bel disco di garage robusto e in salute, rassicurante, nel suo non essere niente di mai sentito, che certe istanze resistono al tempo e all’usura.Le dodici tracce spaziano attraverso diverse concezioni di sound dei sixties, dal pezzo di apertura “Last poem” che ricorda vagamente gli Outsiders (quelli olandesi, però),con le screziature indie di “Smell”e “Anxious Pictures”, “Love Illusion” e ilsuo baluginare d’organi, il piglio dispettoso di “Trapper & Dodger”che impronta anche “Summertime”, e il misticismo acido della title track.La scelta di non proporre nessuna cover, malgrado nella tradizione garage rock sia quasi un diktat, fa loro onore. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, dunque, ma ben suonato e accattivante, irresistibile per i tossicomani dell’optical sound.
Recensione di Marco Repetto : recensione online