CONFESSIONI DI UNA MASCHERA: settembre duemilaventi
“american psycho”
Abbiamo sbagliato tutto. Non ci sono scuse. Per nessuno di noi. Siamo tutti ugualmente colpevoli. Anche noi, che ci reputiamo “diversi” e per certi versi, in nome di una superiorità culturale evidente ed innegabile, anche “migliori”, abbiamo le nostre colpe.
Il recente episodio dell’omicido del giovane a Colleferro intervenuto per sedare un litigio ne è l’ultimo, ecclatante esempio. Abbiamo fallito. Siamo riusciti nel non facile compito di creare una generazione di idioti cresciuta a televisione e cellulare. È qui che la nostra colpa è netta. Nel non essere riusciti ad intercettare il problema. Nel non essere riusciti a porre rimedio agli errori degli anni precedenti, quando abbiamo sottovalutato la portata dell’invasività nelle nostre vite di modelli sbagliati che le televisioni commerciali continuavano a vomitare nelle nostre case. Ci siamo lasciati sedurre dal facile ammiccamento a modelli estetici, sociali e culturali che non siamo riusciti ad etichettare come aberranti e che abbiamo finito per fare nostri.
I protagonisti di questo omicidio sono la perfetta rappresentazione dell’ostentazione televisiva che gli ultimi 30 anni ha prodotto in noi, ma soprattutto nei nostri figli. Non possiamo chiamarci fuori, siamo noi che li abbiamo cresciuti e che li abbiamo instradati verso un pensiero acritico e facile come quello della televisione. Ci siamo lasciati sedurre dal facile mito della tv e ora sono cazzi nostri. Indietro non si torna.
Abbiamo ammiccato al facile appeal che i modelli televisivi ci mostravano, abbiamo sperato di prendere il posto di quelli che vedevamo in video, abbiamo sottovalutato la portata di quel “tutto e subito” che tracimava dagli schermi. Senza capire che stavamo prendendo la strada più facile per arrivare al nulla, la più breve verso il declino morale, l’unica che non avremmo dovuto prendere, mai.
Rammaricarsi ora serve a poco. Il danno è enorme. Ben più di quello che si possa pensare. Ci sono dieci, cento, mille altri come i quattro idioti che si sono accaniti sul povero ragazzo. C’è una generazione che non si rende nemmeno conto dei danni che ha subito e che potrà a sua volta portare alla società. Non sono quattro mele marce, il problema è molto più esteso. Ci siamo fatti sedurre da modelli televisivi e culturali che non ci appartengono. Modelli che nascono dagli stereotipi statunitensi dove il bello vince, meglio se bianco, tatuato e di bell’aspetto, curato oltre misura, con le sopracciglie curate e gli addominali scolpiti, e alla guida di auto di lusso. Peccato che siamo in Italia, nel Lazio alla periferia della capitale, dove pascolano le pecore e si produce il formaggio, non a Miami o a Beverly Hills.
Abbiamo, come detto, sbagliato tutti. Noi che non abbiamo vigilato, i loro genitori, chi ha permesso che si sdoganasse un’idea di cultura figlia del tubo catodico, la scuole e le istituzioni tutte. Perché è fin troppo chiaro che quando succede qualcosa del genere l’errore è a tutti i livelli. Senza se e senza ma.
È altrettanto sbagliato pensare che le colpe risiedano altrove. È il momento dell’autocritica, a tutto tondo. La colpa non è di quei quattro imbecilli. Loro non hanno colpe, non hanno avuto gli strumenti per rendersi conto che stavano prendendo una strada sbagliata. Non possiamo far loro un processo alle intenzioni nel momento in cui pensiamo che siano dei minorati mentali, come credo fortemente io. Sono mancati loro i riferimenti culturali, i modelli sociali, il pensiero critico. È mancato loro tutto in altre parole. È normale che chi cresce in questa assenza totale di cultura finisca per imitare i modelli più semplici, quelli apparentemente vincenti, quelli da programma televisivo, da telefilm. Quelli facilmente raggiungibili senza sforzo. Quelli che fai tuoi solo per il fatto di avere un portafoglio pieno e una macchina costosa sotto il culo.
Potremmo pensare che in fondo, anche nella loro idiozia, avessero la possibilità di invertire la rotta e scendere dal treno in corsa che li ha portati all’inevitabile, ma non ne sono così sicuro. A certa gente il libero arbitrio non appartiene. Ci sono terreni inadatti a qualunque tipo di semina. E nemmeno il fatto di aver forse, probabilmente, visto le proprie vite nascere e germogliare in situazioni difficili, di periferia e di degrado può servire a scusarli. Non sono le tue origini a determinare il tuo percorso, sei tu che te lo indirizzi. La colpa dei genitori non è quella di averli fatti nascere in situazioni limite ma di non aver trasmesso loro alcun tipo di valore morale.
Quella del fascismo è una chiave di lettura troppo facile e troppo superficiale. Prenderla come buona non fa altro che portarci ancora più avanti nella direzione sbagliata. Che è quella di arrivare alla conclusione che si tratta di un crimine di matrice fascista, mentre il crimine di cui discutiamo va oltre, va contro l’umanità in senso generale. Questi quattro mentecatti non si sono nemmeno resi conto che si trattava di un ragazzo di colore, per loro non c’è nemmeno questa discriminante, talmente pieni di loro hanno portato acqua al mulino della violenza gratuita di cui si sono sempre abbeverati. Pensare che siano in grado di fare dei distinguo è un complimento che non possiamo associare loro.
Anche perché non è ammissibile che tutto ciò che consideriamo sbagliato sia fascista, mentre tutto ciò che è fascista è sbagliato. C’è una sfumatura ma anche una grossa differenza tra le due cose. Occorre fare attenzione e non confondere le due cose. È troppo facile etichettare tutto ciò che vediamo di negativo come fascista. Troppo facile e anche troppo comodo. Ci sono altre situazioni, più complesse e di maggiore difficolta di elaborazione. Non riduciamo sempre tutto al fascismo/antifascismo. Esiste anche l’imbecillità come cantava Battiato. Non voglio scendere nel facile paradigma, fascisti e quindi violenti e assassini. Non facciamo confusione.
Qui il fascismo non c’entra niente.
Questi quattro idioti nemmeno sanno che cosa sia stato e che cosa sia oggi il fascismo. Vorrebbe dire aver studiato ed essersi fatti una coscienza critica. Aver preso una posizione, avere delle idee. Sbagliate in quanto fasciste ma avere delle idee. Questi non hanno niente, nemmeno un’idea. Hanno degli ideali di plastica, eretti sul nulla. Sono dei rifiuti e basta. Non sono dei fascisti. Si comportano in modo a volte fascista ma non lo fanno perché spinti da un ideale nostalgico ma dal nulla che colora le loro vite.
Questo non fa che rafforzare la mia idea di non procreare, di non contribuire a portare altra legna al fuoco di questo falò delle vanità che ci vede oggi spettatori inermi. Mi sono sempre sentito inadatto al ruolo, la mia paura di fallire e di creare dei “mostri” mi accompagna da sempre, e oggi, guardando allo scempio cui siamo costretti, sono ben felice di non aver contribuito ad allargare il pingue numero dei disagiati che popolano le nostre città. Quello del genitore è il ruolo più difficile in assoluto.
Un figlio è un bene prezioso che non tutti possono permettersi di crescere. Capisco che sia un concetto duro e di non facile comprensione oltre che di sicura discussione, ma io penso realmente che non possa essere concesso a tutti di procreare.
Le colpe dei padri ricadono sempre sui figli. Lo sentiamo dire da millenni.
Possiamo, oggi settembre duemilaventi, non dirci d’accordo?
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