iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999
Cerca
Close this search box.

Recensione : Shadow Of The Torturer – Dronestown

Qui il dolore è tangibile, quasi fisico, e non è sufficiente spegnere il lettore per scrollarsi di dosso il peso di ciò che si è ascoltato fino a quel momento.

Shadow Of The Torturer – Dronestown

Cosa può spingere quasi un migliaio di persone a togliersi contemporaneamente la vita e consentire che lo stesso accada ai propri figl? Il fanatismo religioso e la devozione totale nei confronti di una persona capace di plagiare tutti costoro, possono essere spiegazioni plausibili che però, di fronte alle dimensioni drammatiche  dell’avvenimento, faticano davvero ad essere comprese.

Quella immane tragedia che è stata il suicidio di massa di Jonestown, avvenuto in Guyana nel 1978, presenta ancora oggi molti punti oscuri, inclusi quelli relativi alla persona che di tutto ciò ne fu l’artefice ed il carnefice, il tristemente noto Jim Jones.
Il mezzo volto occhialuto che vedete campeggiare sulla copertina di Dronestown appartiene proprio a chi, nell’immaginario collettivo, resterà per sempre associato ad una delle maggiori stragi di civili che il mondo occidentale ricordi, attentati a parte.
Gli Shadow Of The Torturer, in tutto questo, non giudicano e non commentano, piuttosto si pongono quale formidabile veicolo capace di trasmettere alle nostre orecchie l’orrore ed il terrore che, probabilmente, anche il più fanatico e devoto dei seguaci di Jones, deve aver vissuto in quei drammatici momenti.
Il trio di Seattle mette in scena uno dei lavori più annichilenti degli ultimi anni: il loro sludge-doom, rallentato all’inverosimile, prima prepara il terreno con i già formidabili diciotto minuti di Indianapolis/Ukiah (che rimanda ai primordi della chiesa fondata da Jones), ma è con We Are a Righteous People/Guyana che ci si spinge ai limiti della sopportazione psichica.
Oltre venti minuti tratti delle registrazioni originali di quei drammatici momenti vengono accompagnati da riff dilatati, che si rivelano la colonna sonora perfetta, capace di amplificare a dismisura lo sgomento che l’ascoltatore prova nell’udire le discussioni tra gli adepti, le farneticanti argomentazioni di Jones, ma soprattutto il pianto dei bambini, le vere vittime in ogni epoca e ad ogni latitudine della religione, il solo virus (altro che Ebola …) che l’umanità dovrebbe realmente temere.
L’ascolto di Dronestown va oltre la percezione di un’opera musicale, è un’esperienza che lascia scossi, provati, inermi di fronte all’enormità di ciò che si sta verificando in quello sperduto spicchio di foresta equatoriale.
Può darsi che qualcuno abbia provato a compiere in passato un’operazione analoga, francamente non ne sono al corrente ma, comunque sia, quello degli Shadow Of The Torturer è l’unico accompagnamento sonoro possibile per suoni che non sono soltanto una serie di voci campionate tratte da un film dell’orrore, bensì la testimonianza di un fatto assolutamente reale.
Il doom, solitamente, affronta argomenti che hanno sempre a che fare con la morte ma, facendo riferimento per lo più a malesseri psichici o comunque ad eventi che si prestano ad un chiave di lettura metaforica, finisce per avere un effetto quasi catartico e l’evocazione della tristezza e della disperazione, al termine dell’ascolto, lascia i sensi ovattati giusto il tempo necessario perché la vita riprenda il suo altalenante corso.
Con Dronestown è dannatamente diverso, qui il dolore è tangibile, quasi fisico, e non è sufficiente spegnere il lettore per scrollarsi di dosso il peso di ciò che si è ascoltato fino a quel momento; questo album è, in definitiva, un capolavoro del quale, per coglierne la reale essenza, bisogna essere disposti a subire quasi con stoicismo il muro di sofferenza che ci viene scaraventato addosso.

Per chi non teme di immergersi nel terrificante mondo degli Shadow Of The Torturer , questa versione edita dalla Memento Mori contiene come bonus track il brano Afterlife/Cities of the Damned, uscito originariamente in occasione dello split con i Ghost Of Wem, e capace dimostrare anche ai più scettici che il trio di Seattle possiede il dono di saper comporre uno sludge-doom realmente devastante anche senza essere necessariamente associato ad eventi, come il massacro di Jonestown, capaci di amplificarne l’impatto emozionale.

Tracklist:
1. Indianapolis/Ukiah
2. We Are a Righteous People/Guyana
3. Afterlife/Cities of the Damned

Line-up:
Mikey Brown – Guitars, Vocals
B-Bench – Bass
Tim Call – Drums

SHADOW OF THE TORTURER – Facebook

Get The Latest Updates

Subscribe To Our Weekly Newsletter

No spam, notifications only about new products, updates.
No Comments

Post A Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

Treni ad Altra Velocità – Intervista con Fabio Bertino

Una conversazione con Fabio Bertino, autore in tempi recenti di due libri in cui racconta le proprie esperienze di viaggio lungo il nostro paese, percorrendo linee secondarie o utilizzando per gli spostamenti solo i più “lenti” treni regionali.

Amarok – Resilience

La cifra compositiva degli Amarok è piuttosto personale in quanto, rispetto al più canonico sludge doom, la band californiana non teme di rallentare i ritmi fino a sfiorare un’asfissia scongiurata dal mood atmosferico e melodico che pervade buona parte di un lavoro riuscito come Resilience.

Abysskvlt – mDzod Rum

Gli Abysskvlt, con mDzod Rum, propongono un’opera di grande spessore, sia dal punto di vista spirituale che strettamente musicale, ma non si può nascondere che tali sonorità siano principalmente rivolte a chi possiede un’indole incline alla meditazione.

Silent Vigil – Hope and Despair

Se in passato il sound traeva principalmente linfa dall’insegnamento dei Daylight Dies, tutto sommato Hope and Despair è un album che si muove in continuità con quello stile, che qui viene ulteriormente ribadito dando alla fine l’auspicato seguito, sia pure con il nuovo moniker Silent Vigil, alla brusca archiviazione degli Woccon avvenuta dieci anni fa.