POSTFAZIONE e BIBLIOGRAFIA
È stata una lunga cavalcata: quasi dieci anni di lavoro forsennato. Quando ho iniziato a scrivere la Trilogia Sporca dell’Italia, non avevo idea che sarebbe stata una trilogia. Immaginavo, mettendo in fila le false piste, i fatti loschi e buchi neri della Storia, un grande romanzo sulla prima Repubblica, sull’Italia peggiore, dal dopoguerra a Tangentopoli. Presto mi sono reso conto che un romanzo solo non sarebbe bastato, neppure per descrivere il marcio d’un paio di decenni.
Così mi sono messo in cammino, ho pigiato sui tasti, trascorso ore nelle emeroteche e nelle biblioteche, intervistato testimoni oculari, tessuto trame, dato vita a personaggi.
Dell’intero trittico, IL PAESE CHE AMO è stato il libro più difficile da scrivere. Perché, degli avvenimenti che narro, ho memoria cruda e viva. È l’Italia in cui sono cresciuto, in cui, bambino, ho imparato a leggere e scrivere, far di conto e sognare. L’Italia che mi ha deluso, l’Italia che non riesco a smettere di amare.
Quando è venuto il momento di raccontarla, ancora una volta, mi sono trovato di fronte a un bivio: dire la verità era impossibile, ma trasfigurarla senza criterio sarebbe stato ingiusto.
Ho fatto delle scelte, ho corso dei rischi.
Ho fatto quello per cui sono venuto al mondo e per cui mi pagano: ho mentito.
Sperando di raccontare almeno un frammento, una scaglia lucente di verità.
Come già mi trovai a scrivere, riguardo a Settanta: quella che avete appena finito di leggere è una storia di finzione.
Niente, in questa storia, è reale. Verosimile, forse, ma reale no. Non sono reali i personaggi, né le cose che accadono. Molti avvenimenti ricordano la storia mondiale degli anni Ottanta e Novanta. Nessuno di essi ha la benché minima credibilità storiografica. Semplicemente perché l’Italia, l’Europa e l’America che descrivo in questo romanzo non coincidono del tutto con il mondo in cui sono diventato grande.
Il Paese Che Amo è, sotto molti aspetti, un Paese fittizio.
In un certo senso, un non-luogo.
Valerio Evangelisti alcuni anni fa mise in coda al suo romanzo più bello, Noi saremo tutto, una nota bibliografica che iniziava così:
Sebbene questo romanzo non abbia pretese storiografiche, il contesto della vicenda è frutto di ricerche piuttosto accurate.
Le sue parole, come valevano per Settanta e Confine di Stato, valgono anche per questo lavoro.
Il Paese Che Amo è, prima di tutto, fiction.
Non c’è la Storia “pura”, qua dentro: piuttosto un’inestricabile mescolanza di Storia e finzione.
Nessuno dei miei protagonisti è reale. Anche se molti di loro assomigliano a personaggi storici, nessuno di loro è identificabile con il proprio corrispettivo.
Tanto per essere chiari: Tito Cobra non è Bettino Craxi, Ljuba Marekovna non è Ilona Staller né Moana Pozzi, Carlo Ciaccia non è Giovanni Falcone né Paolo Borsellino, l’Omino non è Giulio Andreotti e Domenico Incatenato, l’avrete capito, non è Antonio Di Pietro.
La non identificazione è valida per molti altri protagonisti minori. Praticamente per tutti i personaggi del libro.
Esplicitare questa differenza, questa non identità tra Storia e fiction, tra personaggio storico e character, non significa semplicemente pararsi il culo da eventuali querele per diffamazione.
Questo testo non è un disclaimer. Un’implicita deresponsabilizzazione del mio testo. Questo scritto è qualcos’altro. Un tentativo concreto di dar conto del modo in cui lavoro.
Quando ho scelto di far morire il papa nell’attentato in Piazza San Pietro, o di mettere John Wayne alla Casa Bianca, non volevo soltanto scioccare il lettore con una narrazione ucronica à la Robert Harris. Mi interessava proporre un punto di vista altro sulla Storia. In particolare, sulla storia del nostro Paese martoriato.
Cambiare prospettiva, lasciarsi sorprendere dall’immaginazione, è un tentativo di stravolgere il noto per tentare di leggere in profondità le questioni che la storiografia e la giurisprudenza lasciano spalancate.
Non è compito di scrive romanzi raccontare la verità. Ma è compito di chi sceglie di prendersi cura della memoria non lasciarla appassire. Stimolare, con l’invenzione, la riflessione periodica sul Paese deteriore, sul suo lato oscuro.
Per fare ciò, per non lasciare che il passato si sfaldi, occorre studiarlo a fondo.
Durante la stesura del romanzo, sono moltissimi i libri che mi hanno influenzato, ma ve ne sono alcuni, senza i quali questa storia non avrebbe lo stesso sapore.
In particolare:
Massimo Pini, Craxi, Mondadori, Milano 2006
Giacomo Di Girolamo, Matteo Messina Denaro – L’invisibile, Editori Riuniti, Roma 2010
Giovanni Ciofalo, Infiniti anni Ottanta – TV, cultura e società alle origini del nostro presente, Mondadori Università, Milano 2011
Antonio Di Pietro, Intervista su Tangentopoli, Laterza, Roma-Bari 2000
Ilona Staller, Per amore e per forza, Mondadori, Milano 2007
Camilla Corsellini, La Banda della Uno Bianca, Bevivino Editore, Milano 2004
Bettino Craxi (con Marco Dolcetta), L’ultima intervista, Aliberti Editore, Roma 2010
Matteo Messina Denaro (a cura di Salvatore Mugno), Lettere a Svetonio – Il capo di Cosa Nostra si racconta, Stampa Alternativa, Viterbo 2008
Marco Bettini, Pentito – Una storia di mafia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2008
Marco Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ottanta – Quando eravamo moderni, Marsilio, Venezia 2010
Giovanni Falcone (in collaborazione con Marcelle Padovani), Cose di Cosa Nostra, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2010
Carlo Lucarelli, Misteri d’Italia – I casi di Blu Notte, Einaudi, Torino 2002
Carlo Lucarelli, Nuovi misteri d’Italia – I casi di Blu Notte, Einaudi, Torino 2003
Andrea Spiri (a cura di), Bettino Craxi, il riformismo e la sinistra italiana, Marsilio, Venezia 2010
Ralph Blumenthal, Last days of the Sicilians – At the war with the mafia – The FBI assault to the Pizza Connection, Times Books, New York 1988
Noa Bonetti, Un’amica di nome Moana, Iris 4 Edizioni, Roma 2009
Simone Pozzi (conversazione con Francesca Parravicini), Moana tutta la verità – La vita e i segreti svelati da Simone Pozzi, Aliberti Editore, Roma 2006
Marco Giusti, Moana, Mondadori, Milano 2004
Sono grato agli autori e agli editori per avermi fatto conoscere il ventre molle del Paese che amo.
Leggi qui l’intervista a Simone Sarasso