A tre anni dall’Lp di debutto “Holy Motor“, tornano i turbo garage-noise punkers torinesi SLOKS con un nuovo album (il loro secondo in totale) “A knife in your hand“, uscito a inizio mese e sempre sulla benemerita Voodoo Rhythm Records del mitologico Reverend Beat-Man, segugio elvetico che, in fatto di fiuto per il rock ‘n’ roll proveniente dal sottobosco italiano, la sa lunga e ha ottimo olfatto (e udito).
Undici nuovi brani di “bad music for bad people“, riprendendo il titolo di una nota compilation dei Cramps (tra i numi ispiratori del sound del trio nostrano: “Ivy Claudy” alla voce, anzi urla, e timpani, “Buddy Fuzz” alla chitarra e “Tony Machete” alla batteria) che mi sembra perfetto per descrivere il suono corrosivo e selvaggio (e squisitamente analogico e in bassa fedeltà) che trasuda dai solchi di questo disco, registrato presso lo Swampland studio a Tolosa (che già aveva ospitato le incisioni dell’esordio della band) nel settembre dello scorso anno, e prodotto-mixato-masterizzato da Lo Spider.
Apre le agitate e psicotiche danze (e cosa vi aspettavate da un’opera che si intitola “Un coltello nella tua mano”? Una tranquilla passeggiata di salute?) “Dillinger“, crampsianissima nel suo incedere malato, poi è il turno di “No makeup“, altro maleducato delirio di sconquassato trash-punk.
E’ il fuzz a fare la parte del leone lungo tutto questo sgangherato tragitto sonico, ed è compito di “Burn baby burn” bruciare letteralmente i vostri timpani e il vostro cervello, mentre “Bad to the bone“, macabra orgia BoDiddleyana, farà impazzire anche l’ultimo neurone che vi è rimasto. “Crank it up” e la title track perseguono efficacemente la loro maligna missione di plagiare l’ascoltatore anima e corpo e condurlo nella discesa agli inferi, dove lo attende Lux Interior, che lo sta reclamando da sei brani, tutti inzuppati di sudiciume e depravazione derivati dalla band che lui e sua moglie hanno avuto nell’al di qua.
Nel settimo pezzo, “Ruin it all“, finalmente sarete giunti al cospetto di Lux che, vestito di fuoco e fiamme, tacchi e lingerie leopardata, vi esorterà a suonare con lui e ad accompagnarlo durante un’ultima nenia infernale (prima di saltarvi addosso e mangiarvi, da bravo zombie) mediata dal mondo dei vivi dal malvagio timbro vocale di Ivy Claudy. “Killer Killer” sembra darvi una piccola tregua, con una concessione all’organo, ma è solo un’illusione: i rantoli di Ivy vi faranno sbranare anche dal cadavere di Bryan Gregory, Jeffrey Lee Pierce, Screamin’ Jay Hawkins, Link Wray, Ron Asheton, Fred Cole e tanti altri “back from the grave“.
Ormai è troppo tardi: siete diventati zombies anche voi, e ne vorrete sempre di più. E allora eccovi sbattute in faccia “Exotic Store” e “SBANG!“, ferali e primitive a saziare la vostra ingordigia di carne e sangue, fino all’apoteosi finale di “Last grave“, quando l’organo tenta di spezzare l’incantesimo malefico e salvarvi dalla notte dei dei rockers morti viventi, ma viene ancora soffocato dal ringhiare disgraziato e fuzzato di Claudy che vi annuncia che sarete dannati in eterno.
E’ finita, il disco è terminato e vi ha trasformati in anime per(ver)se, viziose e peccatrici, intrappolate in un incubo senza fine. Ma per mezz’ora avete goduriosamente oscillato tra dolore e piacere, quindi ne è valsa la pena, no?
Questo è un album che non fa prigionieri. You punk wanna talk about the real junk? Here it is!
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