Un disco maturo non significa per forza di cose che, nel comporlo, si debba commettere il reato di maturità, per lo meno non nell’ accezione largamente condivisa e, in quanto tale, insipida ed ipocrita, totalmente attaccata al concetto di divenire rilassati (=sconfitti), melensi (=adagiati su di una volontà di racconto espressa in una forma esclusivamente emotiva e non analitica) e realizzati (=convinti che, in fin dei conti, il mondo vada bene così come va). Appurato questo, si può tranquillamente affermare che il debutto omonimo degli Strangolatori Del Gange è un disco maturo:
affina le esperienze trascorse dei vari componenti del gruppo, le arricchisce di nuovi spunti, gestisce con consapevolezza il portato storico underground dell’ ambiente di provenienza (il Piemonte della Resistenza, dei Negazione, dei Frammenti, degli Italo Calvino, di El Paso e dei Walter Verra di Tutti Giù Per Terra) e, nell’ assemblare questo, non scorda mai l’ irruenza e la spontaneità della gioventù .
Il disco mi arriva un giorno, sospeso tra l’ autunno e l’ inverno, colmo di aspettative e, al contempo di incertezze. Credo di non aver mai ricevuto omaggio più bello: “Finché la barca va, lasciala affondare. È un naufragio, vero? Non diciamoci stronzate! (…) Io volevo solo stare ancora un po’ con te”, un attacco tra Dead Kennedys e Contr-Azione, un continuo che si apre ad influenze Noise Rock scuola Amphetamine Reptile, e già con Naufragio, vado subito in pezzi; la capacità comunicativa di questo CD è impressionante:
un documento unico e ricco di peculiarità sue uniche ed esclusive.
Si possono sentire chiari rimandi ai Belli-Cosi, agli Arturo durante l’ ascolto, così come anche alle strutture sghembe e ai tappeti di rumore molto comuni alla Amphetamine Reptile prima maniera (God Bullies, Hammerhead e pure un po’ i Chokebore): la validità di un disco si deve proprio misurare sulla sua capacità di integrare, al suo contesto culturale di appartenenza, anche le grammatiche provenienti da altri luoghi e condizioni, riuscendo a declinarle alle esigenze del suo discorso narrativo, sia concettuale che sonoro:
per raccontare del proprio esistere occorre rapinare intuizioni di altri per poterle fare proprie: in questo, gli Strangolatori, sono dei traduttori eccezionali, un po’ come Cesare Pavese fu per Herman Melville in Moby Dick.
Definire un disco così come semplice prova di Hardcore Punk portata a termine da chi, questa roba, la sa gestire ormai con una certa capacità e cognizione di causa sarebbe sin troppo riduttivo;
ci si può spingere tranquillamente anche oltre ed affermare che questo è davvero un disco Rock, di quelli che ne escono sempre meno: figlio di un contesto ben preciso ma proiettato altrove, dove il risultato finale, curato nell’ insieme delle sue componenti, conta più della categoria musicale, del senso di appartenenza.
È proprio l’ unità delle parti che si nasconde dietro al nome Strangolatori Del Gange a funzionare alla perfezione: nessun solipsismo, protagonismo o divismo, intacca il lascito finale di questo disco che dallo stereo si insinua nelle orecchie fino alla corteccia cerebrale per poi stabilirsi in modo perenne nell’ ippocampo;
un meccanismo che funziona, che balza da un’ atmosfera ad un’ altra senza mai perdere di coerenza e capacità di impatto.
C’è l’ irruenza dell’ Hardcore, la vena stramba del Noise Rock, la capacità di raccontare del Rock più autoriale dentro e nessuna di queste peculiarità entra in contrasto con l’ altra ma, se caso mai frizionano fra loro, generano spunti interessanti e che stimolano ancora di più all’ ascolto.