E’ un vero e proprio calcio nei denti questo “Annegare“, secondo album degli Strebla, quartetto di stanza a Bari (Nicola Ditolve alla chitarra e voce; Alessandro Francabandiera al synth e noise box, Ottavia Farchi al basso – ma recentemente sostituita – e Manuel Alboreto alla batteria) attivo dal 2019 (esordendo nel 2021 col full length di debutto “Cemento“) e che definisce la propria proposta sonora “ferocious noise-rock” e, onestamente, non si fa fatica a credergli, dato che il canzoniere dei nostri è composto prevalentemente da brani veloci e compatti che raramente arrivano e/o superano i due minuti di durata, autentici proiettili noise/post-HC forgiati con una “polvere da sparo” sonica ispirata da Wretched, Indigesti, Shellac, Jesus Lizard, Refused e Brainiac (tra gli altri).
Registrato in presa diretta a Bari al C.S.O.A. Ex Caserma Liberata, il disco è stato pubblicato nel marzo di quest’anno grazie a una unione di intenti tra varie label e realtà indipendenti (The Ghost Is Clear Records, Vollmer Industries, BAx HCx – Hardcore Punk Against Racism, Rodomonte Dischi, troppistruzzi, unoazero, Controcanti ᴘʀᴏᴅᴜᴢɪᴏɴɪ, Poison Hearts e Fresh Outbreak Records) e in poco più di venti minuti condensano dieci episodi ricolmi di rabbioso disincanto e dissonante amore nevrotico che si riversano sull’ascoltatore e non gli lasciano scampo. Dalla title track (posta in apertura dell’Lp) passando per “Ricatto“, “Gagarin“, “Alberts“, “Vespaio“, “Consumato“, e giù fino ad arrivare alla conclusiva “Quartieri addormentati” (la traccia più elaborata e complessa del lotto che, insieme a “Ore“, alterna sfuriate hardcore/noise a rallentamenti di passo che affondano in paludi sludge) si viene investiti da un’ondata di violenta pesantezza e amara disperazione cosmica vomitataci in faccia da testi e vocals delicati come blocchi di ghisa.
Il mondo sta affogando in un mare di merda, e un album come “Annegare” suona come una verosimile fotografia della realtà globale impazzita che ci circonda, con la “razza umana” che non impara mai nulla dai suoi errori e sta condannando un intero pianeta all’autodistruzione, eppure gli Strebla, a modo loro, portano avanti la testimonianza di un tentativo di tenere la barra dritta, nonostante la puzza nauseante dell’antropocene dilagante a tutti i livelli, cercando di ribellarsi allo status quo attraverso le note della loro musica estrema, ostica e ruvida, provando a lasciare un piccolo segno e smuovere le acque all’interno della loro comunità DIY, e il fatto che ciò che accada nel Meridione di questo sghangherato Paese – da sempre più svantaggiato, con meno risorse, meno mentalità e meno strutture a disposizione rispetto al settentrione d’Italia – fa di questi ragazzi persone da lodare, ascoltare e supportare. In fondo, l’amore non muore mai.