Avevamo ascoltato una buona band, sui solchi dell’EP “Fireworx” (2012), una nuggets band con tendenze lisergiche, le tasche piene di idee buonissime ma un fardello di influenze a pesare sul groppone.
Questo primo LP omonimo, uscito poco più di un mese fa, ce li restituisce carichi e rabbiosi, sicuri di sé e piacevolmente pretenziosi: una band che ha fatto un bel po’ di strada, si è scrollata di dosso il fardello e ha riempito le tasche, ed ha tirato fuori dal cilindro un fottuto coniglio livido e cangiante. Un suono ben tornito – graffiato e griffato da riff anfetaminici, imbottiti di fuzz e riverberi – con tutti gli attributi al posto giusto: il garage rock di mamma nuggets e quello degli anni zero, la psichedelia 60s, la Grande India, il gothic rock, la bassa fedeltà, tradizioni che si osservano allo specchio e si trovano somiglianti, quasi si riconoscono come semi della stessa terra. E si mettono a fottere come conigli (per l’appunto), figliando diverse cosine: divertimento, sporcizia e rabbia allo stato grezzo, caldo sferragliare di chitarre e acide atmosfere, sensuali slinguazzate d’anima nera, oscure discese agli inferi e violente zampate garage punk. Il tutto, concepito durante un’orgia di mid-tempo e accelerazioni improvvise, stomp hard e interminabile rifferama, che è come farsi una pera di adrenalina.
L’euforico nuggets punk di Satellite, il garage rock durissimo e speziato (piccante, direi) di Mirror, la psichedelia rock’n’roll, graffiante e oscura, di Talk With You e On The Run, la baudeleriana Flowers of Evil, una danza rock’n’roll dal sapore orientale che vomita uno spleen infarcito di umori gotici, saltellando schizoide tra riff di opposta (ed ottima) fattura legati insieme in modo magistrale; o ancora Spring of Youth, una camaleontica cavalcata garage rock iniettata di adrenalina, bagnata di psichedelia 60s e di rabbioso hard-blues, o la bella ballata garage soul di So Blue, che chiude il disco. Tutti autentici pezzoni, inni senza tempo, che costruiscono mattone su mattone un album formidabile, privo di sbavature, assemblato e prodotto che meglio di così era inconcepibile.
Potrei persino affermare, e lo farò, che Sultan Bathery è, ad oggi – insieme al primo album dei greci Acid Baby Jesus, ormai “defunti” –, l’esempio più compiuto ed eccitante di “via mediterranea al garage rock” del XXI secolo. Roba da pazzi!
Tracklist:
1. Satellite
2. Mirror
3. Purple Moon
4. Flowers of Evil
5. Dead Leaves
6. Spring of Youth
7. Talk With You
8. On the Run
9. Good To Me
10. Where The Lights Are
11. Nightmare One
12. So Blue
Line-up:
Boy – chitarra, voce
Frank Shankar – basso
Madnuts – batteria, percussioni
2 risposte
ABJ defunti? Ahahaha c’è una bella sorpresa per voi quest autunno…
Beh, questo è quello che diceva Noda qualche tempo fa: pausa indefinita (“I could say we’re on indefinite hiatus and we could leave it at that..”) e un album di demos e jams da tirar fuori dal cassetto. Poi se hanno deciso di interrompere la pausa e tornare a scrivere e suonare ben venga… che ci sorprendano!