In genere siamo un po’ tutti usi ad ascoltare musica che narra di un potere che si abbatte sul popolo scendendo impietoso dagli alti vertici. Siamo abituati a sentirne parlare come un qualcosa di subíto, sofferto in quanto vittime di questo, odioso poiché corpo esterno nonché estraneo; e se invece si provasse a parlarne dall’ interno?
Fingerci potere e capire d’improvviso che, contrariamente a quanto asserito a suo tempo da Giulio Andreotti, il potere logora e basta, non solo chi non ce l’ha ma anche chi lo brama e poi lo ottiene, per poi comprendere anche che non esiste un potere assoluto;
il potere non ha una vetta ma solo una situazione temporanea e, nel mentre che sussiste, non fa sconti a nessuno.
Esattamente come un Moloch Kafkiano, il potere diventa sovrastruttura comunque lo si rigiri e, per quanto creato dalla fervida mente del genere umano, finisce per schiacciare chiunque, all’ interno o all’ esterno di sé, come un organismo estraneo e costantemente incidente.
La follia è uno dei suoi effetti più immediati e visibili su tutto l’ umano carname: paranoie di persecuzione in chi lo subisce quotidianamente e, come rappresentato in questo disco di Swanz The Lonely Cat, delirio di onnipotenza in chi lo esercita (o crede di poterlo esercitare).
In questo disco la follia viene rappresentata nel modo meno banale possibile; in queste trame che alternano ritmiche ossessive industrial, momenti di inquietante quiete ed estemporanei pezzi recitati con una voce alienata e soffocata, il delirio si manifesta come componente aggiunta e per niente in contrasto con un’ apparente condizione di sanità mentale:
il potere è accettato come normalità (di fatto così è nel nostro mondo) ed insinua il suo germe deleterio come un elemento quotidiano e routinario.
Non ci sono, in questa distesa di suoni-rumori-colpi ossessivi su parti metalliche, atmosfere frenetiche ed esplosioni incendiarie, solo un coerente percorso costruito quasi su un metodo da compositore classico.
Nella prima parte di quest’ opera, chiamata A Walking Shadow, momenti epici, contraddistinti da un synth atmosferico, solenni ma essenziali ritmiche metalliche e vuoti incolmabili fatti di suoni fantasmi e rumori di fondo, il potere sembra più una brama, una volontà in divenire, una dichiarazione di intenti, intervallata dai pensieri di una mente in disfacimento: solo verso il 18esimo minuto, pare manifestarsi una rabbia ed un odio deleterio, ma la ritmica ai limiti con la techno minimal ne sottolinea più i tratti ansiogeni e dolorosi.
In Macbeth Suite la ritmica scompare e lascia spazio al vuoto, il pericoloso abisso dove la mente, ormai cancellata nel suo desiderio di potere, si affaccia, arrendendosi al proprio collasso; ma è un collasso inconsapevole, ubicato e radicato nel subconscio:
la mente vacilla, decade ma pare tutto nella norma poiché questo è il prezzo da pagare per toccare il frutto proibito dell’ambizione personale e la follia diventa il tessuto nel quale la mente, ormai collassata, si trova a gestire se stessa.
Swanz sintetizza il rapporto tra essere umano e potere usando il suono, il ritmo e la composizione, nel fare ciò, in un certo qual modo, lo incanala e lo imprigiona in un percorso rappresentativo; un modo per cristallizzarlo e quindi esorcizzarlo. Nel suo essere un’ opera di quiete arresa e di pause riflessive, Swanz The Lonely Cat’s Macbeth risulta un attacco al potere dal sapore analitico e metodico;
l’ affronto più ardito contro un sistema che sa solo fingersi organizzato e ben coordinato.
RECENSIONE DI MASSIMO ARGO
Tre brani dilatati e immaginifici, tre squarci di infinito intrisi di dark ambient, harsh noise, industrial, drone e squarci di infinito.
Swanz The Lonely Cat è un nom de plume di Luca Swanz Andriolo, musicista, produttore, performer, rumorist e tanto altro. Con questo nome ha fatto uscire nello scorso dicembre per l’italiana Toten Schwan Records e per la svizzera EEEE un’opera musicale dedicata al “Macbeth” shakespeariano, con lo stesso titolo.
Tre brani dilatati e immaginifici, tre squarci di infinito intrisi di dark ambient, harsh noise, industrial, drone e squarci di infinito. Swanz The Lonely Cat parte dal 1623, ovvero dall’uscita ufficiale del “Macbeth” una tragedia diventata archetipa come quasi tutta la produzione shakespeariana, partendo dal fatto che Shakespeare ha avuto un successo immenso perché tratta delle vene scoperte dell’uomo, ha scandagliato l’animo umano e ne ha saputo trarre opere immortali che riguardano tutti noi e che trattano l’umanità in tutte le sue accezioni.
Il “Macbeth” è una tragedia di potere, avarizia, cattiveria che si muove in bilico fra vari mondi, fra i quali quello spirituale e quello fisico. Luca ci porta fra le pieghe di un’opera che ha dato vita a tantissimi altri universi creativi, tanto che il “Macbeth” è uno de pilastri fondativi della nostra cultura, mostrandoci tutta la tenebra che essa contiene, e che è la nostra tenebra. Non è musica nel vero senso della parola è produzione di suoni di sentimenti, di flash di luce musicali che nascono dalla materia e dallo spirito, con una capacità compositiva molto ben al di sopra della media dark ambient.
In questo “Macbeth” c’è il suono del dolore, la scintilla della dannazione alternata a momenti in cui ci si auto culla persi in qualcosa che non riusciamo a comprendere, alla deriva quando ci aspettavamo il trionfo. Swanz The Lonely Cat appronta uno scenario quasi medioevale, sognante e sempre molto coerente, mai scontato e con tantissimi spunti musicali, avvicinando la musica all’ambient, cosa che non riesce a molti, anzi quasi a nessuno.
Il modo migliore per ascoltare questo disco, anzi per viverlo perché è questo quello a cui porta, è farlo con le cuffie chiudendo gli occhi, e così facendo arriverà un soffio di umanità lungo 400 anni, da quando “Macbeth” ha incanalato certe energie che erano nell’uomo fin dalla sua nascita, portandole all’esterno e rendendole sublimi ed indelebili.
Le tre tracce sono magiche, senza tempo né collocazione, vagano fra la Scozia dei boschi e dei laghi, ma sono come un occhio che scruta il nostro tempo sapendo che non è altro che un puntino in una tempesta senza fine chiamata universo, arrivando ad essere un qualcosa di simile a cosa fu “The dark side of the moon” dei Pink Floyd per la musica di quel tempo : un oggetto fuori tempo, una meraviglia che non trova collocazione se non nella sua stessa ragione di essere.
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