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Recensione : Switchblade Jesus – Death Hymns

Nella galassia dell'espanso non è detto che tutto sia bello o buono, ma i tejanos Switchblade Jesus (from Corpus Christi), aka Eric Calvert (vocals/guitars), Chris Black (bass and new entry), Jonathan Elizondo (drums/percussion/synth), sconvolgono i generi suddetti in maniera sui generis, montando scenari apocalittici e primordiali ingigantiti da peccaminosa energia furibonda.

Switchblade Jesus - Death Hymns

Nella galassia espansa dello sludge e affini, non è detto che tutto sia bello o buono, ma los tejanos Switchblade Jesus (from Corpus Christi), aka Eric Calvert (vocals/guitars), Chris Black (bass and new entry), Jonathan Elizondo (drums/percussion/synth), sconvolgono i generi suddetti in maniera sui generis, montando scenari apocalittici e primordiali ingigantiti da peccaminosa energia furibonda.

Il gioco di synth sopra le rozzezze hard, ultra-definite dalla vena genialoide delle congiunture soniche messe in campo dal trio, conquista le menti versificando materiale brutale che acquista finezza liminare, ponendosi tra Azatoth e l’Oltreverso, citando Lovecraft, ove tutto pare calibrato, rifinito per deliziarci in assenza di filtraggi e proveniente dal Mondo degli Incubi.

Scorched è la copertina di questo album, l’avvisaglia temuta e sbattuta in faccia, la prima traccia che ci mette sul chi va là, misteriosa e corrosiva. Pioggia battente insiste nel colpire i nostri cristalli orbitali tramite mitragliate a ripetizione di scale e riff di chitarra, quanto di un efficacissimo colto bass guitar, instillando godurie sabbatiche in stile mastodontico very hard’n’roll. Raro riscoprire cotanta intensa primitività di rock sferzante.

Red Plains pare il condotto ideale costruito per far scorrere ancora meglio quelle scansioni granitiche autentiche scoperte in Scorcher, e tutto fila via a velocità ancora più elevata e sommovente, cioè, a briglie sciolte nel buio della foresta presi nel turbine di un caravanserraglio, entrando presto in collisione col terzo episodio, Behind the Monolith, che nulla cede alla inverosimile corsa intrapresa per la sopravvivenza (e si insinuerebbero i The Doors di Horse Latitudes: “Legs furiously pumping their stiff green gallop“), benché sia lecito recuperare il fiato tra i dolmen di Stonehenge avventurandosi, e intendo la song, in uno spoken degno del più orrorifico dei signorotti abitanti gli sparuti castelli del terrore (la raccapricciante voce di Calvert), ove spiriti malefici e tagliole aspettano malcapitati avventori notturni bisognosi di un tetto ‘ospitale’ di fortuna; essi raccontano funesti degli orrendi presagi infestanti tali macabre lande, espressioni di elucubrazioni mentali: ma l’imboscata è tesa.

Death Hymns stupisce interamente spillando echi tribali dal cannello degli strumenti a corda, quando il liquido purpureo emanato diventa bruno miasma ‘suppurifero’ ed invano si scruta la stella polare in cielo cercando di sfuggire al tragico destino.

Forgotten costringe a fare i conti con l’abrasione di conflitti aperti attaccando mostri luciferini: dal magma di pesantezze dense e minacciose delineate, spumeggiano schiume saline elettrificate scaturite dalle onde gelide dei mari del Nord, schiantate contro pareti montuose impenetrabili per l’umano (il drumming esagitato fa al caso nostro) e levigate durante i secoli.

La narrazione si staglia feroce squassando le percezioni animali allertate, il senso di distruzione è avallato ai margini della track dall’innesto del sample di Oppenheimer che cita il Bhagavad Gita dopo il lancio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

“Vishnu tenta di convincere il Principe che dovrebbe compiere il suo dovere e per impressionarlo assume la sua forma dalle molteplici braccia e dice: “Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi.” Suppongo lo pensammo tutti, in un modo o nell’altro”.

Raggiungiamo il focus dell’album marciando dentro dimensioni paludose, ingolfati a causa del fango, i calzari metallici dell’armatura di cui siamo rivestiti non attecchiscono al suolo, svisiamo nell’aere la nostra spada luminescente brandendola alta per forza di braccia erculee, noi, intenti a squartare volatili insidiosi e maligni prima che ci stacchino la testa dal collo. L’eroica mattanza ha luogo sotto scariche di fulmini e tuoni atmosferici, la tempesta immancabile recensisce la surreale guerra lampo tra barbari e demoni alati dediti al massacro: tutto ciò ha un suono, Behemoth.

Udibile per i fans dei primi Mastodon, Kylesa, High on Fire, Neurosis, Unsane, Baptists, Death Hymns risulta lavoro tiratissimo, indiscutibili le sfrenatezze al cardiopalma qui registrate, inoltre spicca l’alta caratura tecnica (in bilico perfetto tra scorrettezze noise e stilemi trash-HM) e la sorprendente originalità, attraversando un campo minato dove molte teste saltano pagando pegno alla mancanza di unicità.

I 7 pezzi che totalizzano circa 28 minuti di ascolto – superba anche la terminale Blackened Sun, potente e carismatica in odor di Motörhead – restano appetibili per chi necessita di slittate sludge e genuinità hard da manuale, ben edificate in un album di potente impatto sonico irrinunciabile, capace di essere infatti must vorace, sapiente della mescolanza heavy’n’doom di difficile ripetibilità.

E ora trovalo tu un finale adatto a questo maelstrom spartano, foriero di forza grezza rinnovante, dacci notizia del compendio ideale adatto a valorizzare Death Hymns: qui da IYEz station, è indubbio, ti riceviamo forte e chiaro.

Released November 2020 e in musicassetta June 2021

https://switchbladejesus.bandcamp.com/album/death-hymns

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