“Kokoro”, in lingua giapponese, è parola che esprime un sottile ma decisiva ambiguità semantica: rappresenta sia il cuore, il muscolo che pompa incessantemente il sangue in tutte le membra del corpo, che lo spirito, l’anima, l’afflato vitale che configura la nostra natura più profonda. Indica dunque, tanto sul piano materiale quanto su quello spirituale, il principium individuationis, ciò che noi stessi siamo, nella nostra irripetibile e inscindibile singolarità.
È fin troppo evidente che l’obiettivo dei Tenniscoats, con questo disco, sia colpire direttamente al Kokoro di ognuno di noi.
In “Papa’s ear”, uscito per la prima volta nel 2011 ma appena ristampato in versione vinilica con due bonus track, il duo giapponese collabora col trio svedese Tape. Il risultato è una sorta di post rock/folk dominato da uno scarno minimalismo che si concretizza in brani di asciutta bellezza, in cui risplende una luce dalla purezza assoluta, adamantina.
Bellissimi arpeggi di chitarra si intersecano a fiati, armoniche e tastiere, a creare una sorta di immagine sonora dell’eternità, sottile seppur consistente, come la morbida carezza di una piuma sulla guancia.
Il vero punto forte di questo lavoro è senza dubbio la voce, femminea, tanto esile nel timbro quanto intensa nel dilaniare l’ascoltatore. È uno stiletto sottile ma affilatissimo, che con colpi leggeri ma incredibilmente precisi perfora e perfora, ripetutamente.
Non si è più gli stessi dopo quest’esperienza sonora, in cui l’etereo si fa corposo, al punto da pesare sulle spalle come un macigno, tanto da schiacciare, lasciare lì, inermi, sdraiati nel nulla, in quel profondo e ineffabile tutto che siamo nella nostra più intima essenza, nel Kokoro,
appunto.