Se non mi unisco ai peana che sento levarsi da più parti riguardo a quest’ultimo disco dei TesseracT non è perché mi piaccia fare il bastian contrario, per partito preso o per innescare chissà quale dibattito solo per ottenere qualche contatto in più.
Niente di tutto ciò, semplicemente penso che, in fondo, una recensione sia solo l’articolazione più completa di un’opinione e, in quanto tale, è del tutto soggetta ai gusti ed alle preferenze di chi scrive.
Sull’altro piatto della bilancia c’è invece l’oggettività, alla quale non ci si può sottrarre per onestà intellettuale, che mi obbliga ad affermare con convinzione che i TesseracT sono un ottima band, capace di portare a scuola decine di altri gruppi grazie alla tecnica indiscutibile esibita nel corso della loro ultradecennale carriera e che non viene certo meno in questo ultimo Polaris.
Il problema è che un sottogenere come il djent, che i nostri hanno contribuito in maniera decisiva a far crescere e prosperare esasperando all’ennesima potenza il lato tecnico e dissonante del prog metal, è piuttosto lontano dalla mia idea di musica fin dai suoi presupposti fondamentali.
Il risultato che ne scaturisce è, infatti, una perfetta e talvolta piacevole esibizione di virtuosismo musicale, senz’altro meno scontato rispetto ad altri esponenti del genere, ma ugualmente prevedibile a lungo andare.
Peccato, perché la proposta dei TesseracT funziona benissimo proprio quando emerge una vena che riporta ai Porcupine Tree e in genere al neo progressive albionico, costretta però a convivere con queste pulsioni di metallo iper-tecnico che, almeno a me, restituiscono solo una certa freddezza.
Le aperture melodiche di brani come Hexes, Tourniquet, Phoenix e della splendida Seven Names mostrano le stimmate di una band di levatura superiore ma che non incide come potrebbe, esibendo solo ad intermittenza abbacinanti lampi di classe e preferendo, per lo più, specchiarsi nella propria perfezione formale
Il ritrovato Daniel Tompkins è effettivamente un magnifico vocalist e il suo contributo si rivela fondamentale per le sorti di un album che è rivolto a chi apprezza più la tecnica del cuore finendo per risultare, quindi, musica per musicisti, i quali sono naturalmente facilitati nel godere appieno di lavori di questa fatta.
Almeno questo è il mio parere, quello di un appassionato soprattutto di generi che antepongono il pathos e le emozioni a tutto il resto; tenetene conto nel leggere queste righe, perché in fondo molti tra voi probabilmente riterranno invece Polaris un album eccezionale, con più di qualche “oggettiva” buona ragione.
I’m sorry, it’s not my cup of tea …
Tracklist:
1. Dystopia
2. Hexes
3. Survival
4. Tourniquet
5. Utopia
6. Phoenix
7. Messenger
8. Cages
9. Seven Names
Line-up:
Acle Kahney – Guitar
James Monteith – Guitar
Jay Postones – Drums
Daniel Tompkins – Vocals
Amos Williams – Bass
Una risposta
Beh, non capisco veramente come tu possa unire il concetto di virtuosismo freddo ai TesseracT, privi di assoli e di note veloci messe a caso. Sarei d’accordo su un virtuosismo ritmico, che pero è totalmente funzionale all’album. Non sono per niente d’accordo e penso sia una cosa oggettiva, al di lá di gusti personali.