Come già avevamo preannunciato alcuni mesi fa, recensendo la raccolta dei loro primi due album, “Here we are The Courettes“, iniziativa celebrativa per inaugurare il cambio di etichetta (su Damaged Good Records) che ne aveva già stampato due nuovi singoli, i coniugi Flávia e Martin Couri sono arrivati a pubblicare il terzo album dei (Fabulous) Courettes, “Back In Mono“, uscito in concomitanza col terzo singolo estratto, “R.I.N.G.O” un omaggio del duo brasiliano/danese al loro Beatle preferito, il batterista Ringo Starr.
Il disco, registrato tra Danimarca e Giappone, si apre con la già edita “Want You! Like A Cigarette” e il suo allegro carico di doo-wop ‘n’ roll Spectoriano dal gusto Sixties che, nellle successive “I can hardly wait“, “Hey boy” e “Night time (this boy of mine)” esplode in tutta la sua essenza, tra battimani, “Wall of Sound” scampanellante e rimandi a girls group come Ronettes, Shangri-Las o Crystals e, in generale, si ha proprio l’impressione che, in questo album, i due abbiano voluto immergersi in profondità nell’universo R&B, pop e soul degli anni Sessanta per arricchire il proprio sound e renderlo più sfaccetttato rispetto alla (precedentemente) prioritaria componente garage-fuzz, che aveva contraddistinto i primi due Lp.
Dopo la succitata e catchy “R.I.N.G.O” (in stile Motown, con tanto di voci sovrapposte) torna a farsi sentire l’anima più garage rock e fuzzata dei Courettes in “Until You’re Mine“, “Trash Can Honey” (che pare quasi una più muscolare cugina di secondo grado di “I can’t explain” degli Who) e nel surfeggiante singolo “Hop The Twig“, nonostante sembrino sempre ammantate da una patina scintillante alla Philles Records (evidente la mano del produttore giapponese Seiki Sato, autentico aficionado del “Wall of Sound”, in fase di missaggio) e lo stesso titolo dell’opera richiama alla mente quello del box set “Back To Mono“, dedicato proprio al celeberrimo produttore Phil Spector.
La parte finale del long playing è un treno che continua il suo tragitto Sixties-oriented, effettuando altre cinque fermate intermedie (“Misfits & Freaks“, “My One and Only Baby“, “Too Late to Say I’m Sorry“, “Edge of My Nerves” e “Won’t Let You Go“) si giunge al termine della corsa, fermandosi al capolinea del lento confidenziale “Cry Cry Cry“, che chiude questo viaggio intercontinentale, conclusosi con Flávia e Martin approdati davanti alle ceneri dei Gold Star Studios.
Se Joey Ramone (ovvero l’unico dei Fast Four ad avere bei ricordi di “End of the century”, il controverso album dei Ramones prodotto, guarda caso, da Phil Spector) fosse stato ancora tra noi oggi, e se avesse ascoltato questo “Back In Mono“, avrebbe sicuramente apprezzato questo manifesto sonoro che sprizza immaginario vintage e fascinazioni rétro da ogni solco.