Ne hanno fatta di strada, i Devils. E, visto il monicker scelto, non si può certo dire che sia stata lastricata di buone intenzioni. Nato a Napoli nel 2015, il duo, formato da Erica “Switchblade” Toraldo e Gianni “Blacula” Vessella, ha shakerato le proprie passioni (B-movies, blues lascivo, underground DIY punk, Cramps, Gories, Jon Spencer, Oblivians, Hound Dog Taylor, Hasil Adkins e altre sconcerie) e il risultato di questa orgia deviata ha partorito un cocktail esplosivo di violenza sonora, un devastante muro di rumore stupratimpani, ben rappresentato dai proiettili punk/blues/fuzz/noise/trash rock ‘n’ roll sparati nel debutto “Sin, You Sinners!” (2016) e dal secondo album, “Iron Butt” (2017) dal feeling sonoro altrettanto psicotico e assassino, un altro oltraggio al pudore arricchito da elementi garage punk/hardcore/no wave. Il tutto sviluppato e messo a fuoco a Napoli, nel “profondo sud cattolico”, come il duo ama ribadire, e non a caso: il loro immaginario e i loro concerti sono uno show all’insegna della “blasfemia” tesa sia alla goliardia, sia al tentativo di “provocare” l’ala benpensante/bigotta e perbenista del pubblico. Autentico caos pagano. Erica travestita da suora invasata e intenta a peccare con tutta se stessa, infrangendo i tabù, sprigionando tensione sessuale sadomaso, massacrando la batteria e sguaiando nel microfono, Gianni nelle vesti di un predicatore elettrico che fa sanguinare la chitarra (e le nostre orecchie) per invitarvi a fare un giro sui sentieri della perdizione, prima di sfasciare il palco, a conclusione del perverso rituale. Ed entrambi gli album sono stati pubblicati dalla Voodoo Rhythm di Reverend Beat-Man. Poteva quindi il vostro Reverendo (che umilmente si è rinominato Shit-Man, come umile omaggio al vero Reverend-o svizzero) lasciarsi scappare l’occasione di recensire i “Diavoli”? Certo che no! Nel frattempo, i nostri due profanatori selvaggi si sono fatti le ossa suonando anche in giro per l’Europa (più di 200 date tra Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda, Germania e Svizzera) e con qualche capatina in Canada, suonando in svariati festival (Festival Beat, Beaches Brew, Sleazefest, Cosmic Trip, Helldorado, Munster Raving Loony Party and so on…) aprendo per Jon Spencer, Kid Congo Powers, Mudhoney e Sonics, e facendosi produrre da Jim Diamond (già al lavoro con Sonics, White Stripes e Dirtbombs, tra gli altri).
E allora ecco questa saga “demoniaca” giungere al terzo capitolo, intitolato “Beast Must Regret Nothing“. Di solito si dice che il terzo disco, per una band, sia quello della svolta definitiva, dopo le esuberanze dei primi lavori, che in precedenza hanno provato a tracciare solchi da percorrere. Questa regola non scritta sembra valere anche per i Devils, che rispetto ai precedenti Lp hanno smussato gli angoli più fragorosi del loro distorto muro di suono garage/punk/blues, in favore di una maggiore messa a fuoco del sound, con brani meno feroci, ancora fracassoni (come nell’apripista “Roar“, o in “I appeared to the Madonna” (sacrilegio!) “Life’s a bitch“, “Time is gonna kill me“, “Devil’s Tritone” e “Roll with me“) ma di un marciume più “ragionato”, e bilanciato in favore della melodia. In questo aspetto si riconosce la mano esperta del rinomato produttore Alain Johannes (tra le sue collaborazioni figurano Queens Of The Stone Age, Pj Harvey, Mark Lanegan e altri) e il suo lavoro di rifinitura, nel conferire compattezza d’insieme ai dodici tasselli che compongono il mosaico di “Beast Must Regret Nothing”. Ma Johannes non è stato soltanto il producer del disco: in sala di registrazione ha agito da vero e proprio terzo elemento del gruppo, contribuendo alla realizzazione e all’arrangiamento delle canzoni, suonando gli strumenti e prestando anche la propria voce nella “desertica” title-track (con tanto di mugugni à la Josh Homme) che chiude il disco. Ed è riuscito a coinvolgere pure Mark Lanegan (un tizio che non ha certo bisogno di presentazioni) in un featuring nel quadrato rock-blues “Devil whistle don’t sing” che di sicuro rappresenta una medaglia al valore (con l’effigie coniata di un crocifisso rovesciato, s’intende: sono pur sempre i Devils…) da appuntare sulle tuniche di Erica e Gianni. Dall’altro lato, l’album viaggia sulle consuete, sexy interpretazioni del blues elettrico offerte dal duo (“Real Man“, col suo conturbante promo video, ma anche nella cover di Jimmy Reed “Ain’t that loving you babe” e l’anfetaminizzato rifacimento di “Don’t call me any more” di Dee Dee Warwick).
Mi sento di aggiungere solo un’ultima osservazione: se acquistate questo disco, lo fate suonare, ma non vi viene mai l’istinto di scuotere la capoccia almeno una volta, oppure di battere il piedino a tempo, o pogare contro il vostro armadio, vuol dire che siete morti dentro… e il rock ‘n’ roll non fa per voi. Ego vos absolvo!
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