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The missing boys

La mia è senz'altro una prospettiva privilegiata rispetto a quella che poteva avere una certa parte del pubblico presente ieri alla proiezione del documentario “The missing boys” a Padova. Io c'ero. C'ero allora, e c'ero anche ieri sera.

“The missing boys”
(documentario – prod. Vox Day, 2024)

La mia è senz’altro una prospettiva privilegiata rispetto a quella che poteva avere una certa parte del pubblico presente ieri alla proiezione del documentario “The missing boys” a Padova. Io c’ero. C’ero allora, e c’ero anche ieri sera.
Il film, raccontato da Davide Catinari (un protagonista dell’underground italiano degli anni Ottanta, era il frontman dei Crepesuzette), polverizza in una manciata di secondi quei quarant’anni abbondanti che sono passati da quando tutto è cominciato e si è sviluppato: racconta di ieri mettendo in bocca alle ragazze e ai ragazzi di allora la faccia, l’esperienza e il disincanto di oggi. La voce e l’intensità degli sguardi sono quelle: sembra ieri, altro che il 1984.

In “The missing boys” si parla molto (da Luca Frazzi di Rumore a Carlo Casale dei Frigidaire Tango a Bruno Casini dell’Arci co-promotore del primissimo raduno delle etichette indipendenti a Firenze) ma soprattutto si ascolta molta musica: un decennio di suoni ritagliato e compresso per farcelo stare in un’ora e, diciamocelo, nonostante ritagli e compressione sono rimasti intatti tutto l’amore, la passione e la purezza che caratterizzavano l’intera scena.

Davide è riuscito nell’impresa impossibile di realizzare tutt’altro che una storia di vecchi reduci, tutt’altro che una messa da morto in celebrazione del nulla, e tutt’altro che una storia isolana, sarda-e-basta. Il suo documentario racconta della provincia e potrebbe essere esportabile ovunque nel resto del paese: i tentativi di fuga e di volo, la costruzione lenta ma solida di una cultura altra rispetto all’offerta industriale e televisiva, le conquiste e le delusioni, i suoni rimasti dentro in testa e dentro al cuore in mancanza di supporti per registrarli e conservarli.

Davide racconta e fa raccontare senza curarsi delle differenze di espressione stilistica, cosa che allora in provincia accadeva spontaneamente e veniva largamente praticata (basta pensare alle raccolte e ai concerti organizzati nel veneziano da Rockgarage, dove condividevano spazio sul vinile e sul palco gruppi punk, dark, sperimentali, rock, fusion etc.). Ecco quindi i gruppi sotterranei come Nice Ray e Vapore36 che spedivano cassette alle fanzine non tanto con lo scopo di vendere nastri a due soldi, quanto di lanciare messaggi in bottiglia con la speranza forte che non finissero sulle spiagge sbagliate. Ecco i primi gruppi anarcopunk, come i PSA di Sassari, che hanno ispirato decine di ragazzini a prendere uno strumento in mano e a sbattersi. Ecco i primissimi video, realizzati a costo di sacrifici economici enormi in un periodo storico senza telefonini né internet quando la tecnologia era saldamente in mano a gente ricca che poteva permetterselo – trovo sia importante ricordarselo, giusto per capire meglio come mai grande parte delle testimonianze di allora passa attraverso cassette obsolete, foto sfuocate e fotocopie di fotocopie.

Spittle ha realizzato un album raccogliendo per intero una manciata di pezzi che nel film si possono soltanto ascoltare parzialmente: tredici tempeste del cuore scatenate nel mezzo del Tirreno tra il 1982 e il 1989, ognuna a testimoniare che nel nostro paese esistevano voci meravigliose e forti, costrette all’oscurità perché distantissime e differenti da quella del padrone.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it

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