Le premesse per la serata erano emozionanti: per chi vi scrive, assente al Festival Beat di Salsomaggiore Terme edizione numero venticinque, quella del 2017, che presentava una line up stellare, è stato meraviglioso apprendere, qualche mese fa, del ritorno in Italia di uno dei nomi di punta di quel bill andato in scena sei anni fa: gli indiscussi paladini del “budget rock” Mummies, leggendaria LO-FI garage punk band statunitense, che avrebbe rivisitato l’Italia per suonare in un’unica data, ancora una volta in Emilia, sempre per il Festival Beat (come succosa anteprima per il trentennale della kermesse, che si terrà alla fine di questo mese) il due giugno, ma questa volta a Bologna. Evento piuttosto raro, visto che i concerti delle quattro “mummie” nel nostro “Bel Paese” sono stati pochissimi, e dunque l’occasione era da cogliere dal volo, essendo i live dei nostri assolutamente imperdibili e non molto frequenti nelle nostre lande.
T-shirt d’ordinanza (quella con la copertina dell’album “Boom” dei Sonics, che sta sempre bene in qualsiasi appuntamento col rock ‘n’ roll) e bagagli e si parte, col cuore gonfio di gioia perché, finalmente, avrei visto dal vivo un gruppo che adoro da anni e che rappresenta un ideale di coerenza e integrità nell’essere sempre e ostinatamente indipendenti e propagandatori della filosofia di vita Do-It-Yourself, oltre a essere protagonisti di live gigs incandescenti a livello sonoro e visivo, coi Mummies letteralmente travestiti da mummie che, però, si muovono (eccome se si muovono) e incendiano l’atmosfera dei palchi con un garage rock (sporcato di venature surf, punk e in certi frangenti anche noise e hardcore) frenetico, veloce, scoppiettante, ballabile e irresisitibile.
Arrivato a Bologna, al TPO, insieme a un amico, subito notiamo però la totale assenza di banchini a tema, zero merchandising ufficiale del quartetto californiano: non è una pecca imperdonabile, sia chiaro, però non sarebbe stato male portarsi dietro materiale (da distribuire a fan, curiosi e magari nuovi adepti) dedicato a un combo che ha sempre conservato un’aura di mistero nel proprio agire (mentre dal punto di vista musicale non abbiamo mai avuto dubbi sulla loro esplosiva credibilità) e che raramente si è concesso al mondo circostante tramite interviste e altre forme promozionali (concerti a parte e, forse, un film incentrato sulle loro sgangherate avventure).
Si entra nel vivo e assisto all’esibizione dell’opening act dello show, i piacentini Morticia’s Lovers, che sciorinano una prestazione onesta, gradevole, senza particolari sussulti, e la loro esibizione scivola via veloce, riscaldando la platea sotto il palco.
Ma è chiaro che sono (e siamo) lì per i brutti ceffi ammerrecani che hanno fatto della rilettura pedissequa del garage rock revival una religione.
E allora, il tempo di fare quattro chiacchiere al fresco per il cambio di strumenti e poi ci si rifionda subito dentro il locale (la cui acustica non era proprio la più felice possibile, ma va anche detto che per questo tipo di live non occorre cercare la perfezione, ma la “sporcizia”) appena i nostri beniamini iniziano a menare le elettriche danze e a dare il via allo spettacolo, perché un concerto dei Mummies è un evento da ascoltare, ma anche da vedere, soprattutto gustandosi la giocosità/scontrosità “snodabile” offerta dal frontman Trent Ruane col suo organo “flessibile” a fare da contraltare alla parlantina fluente e ai dialoghi surreali con cui i quattro interagiscono tra di loro e col pubblico tra un brano e l’altro.
E quindi giù con una setlist serrata e infarcita di cover e “classici” losers come “The Fly“, “Stronger than dirt“, “She lied“, “(You must fight to live) on the planet of the apes“, “Skinny Minnie“, “Gwendolyn“, “Mashi“, “Uncontrollable Urge“, “Little Miss Tee-N-T“, “Your ass (is next in line)“, “Shut yer mouth“, “That girl” e altri pezzi che hanno infiammato a dovere il Tpo.
Scaletta forse un po’ troppo corta, estremamente “dritta al punto”, tanto che il rituale di mummificazione collettiva dura, complessivamente, un’oretta scarsa, con un finale che ha lasciato buona parte della platea un po’ sorpresa e titubante, che si aspettava un “encore“, e invece è rimasta a bocca asciutta.
Poco male, ne è valsa comunque la pena, da tre decenni questi ragazzacci sono sempre sinonimo di eccitazione e divertimento. Resta una serata da ricordare, a prescindere, anche per altri motivi.
Tra le tante persone accorse a guardare e udire la band che ebbe l’ardire di parodiare e mandare affanculo la Sub Pop ho riconosciuto e salutato Ferruccio Quercetti, frontman dei CUT, col quale ho scambiato quattro chiacchiere. E poi ho incontrato di persona, dopo anni di scambi virtuali, il mitico Luca Calcagno alias “Il Santo”, autentico decano di questa webzine, con cui ho avuto il piacere di parlare per una mezz’oretta e ribadirgli ancora una volta che la sua penna resta sempre una delle mie principali fonti di ispirazione per quanto riguarda lo scrivere della musica che ci piace. FUCK show (music) business. E ora tutti ai drive-in!
P.S.: un ringraziamento speciale a Fabio Ronzello per la gentile concessione delle foto (band e setlist) del concerto.