THE PRISONER
Il termine CULT ha raggiunto ormai un tale livello di sovraesposizione nel gergo quotidiano che ce lo rende insopportabile, un po’ come il vomito di prima mattina che trovi a bordo letto dopo una notte di bagordi e di cui non ti ricordi assolutamente nulla.
Ragion per cui non definiremo né ora né mai THE PRISONER come una serie CULT. Ci limiteremo, certi di avvicinarci in modo quasi perfetto [vista la nostra padronanza pressoché assoluta ed irraggiungibile della lingua italiana] a dipingerla come “imprescindibile, avveniristica e fondamentale”.
Noi che odiamo le definizioni e le classificazioni utili solo a decidere in quale scaffale del supermercato esporre gli oggetti da vendere al pubblico andiamo oltre tutto questo. Non stiamo qui a raccontarvi belinate sul fatto che si tratti di fantascienza oppure di fantapolitica, sono tutte cazzate. THE PRISONER è un ottimo esempio di intrattenimento intelligente [correva l’anno 1967 quando fece la sua comparsa in televisione, fate voi…] che invita a ragionare su argomenti per nulla secondari, volutamente lasciati ai margini dall’intellighenzia di regime. Noi che ci facciamo belli sempre e comunque arriviamo qualche anno dopo. La prima messa in onda sugli schermi italici è infatti datata 1974.
E’ RAIDUE a mandare in onda alcuni episodi in ordine sparso. La serie completa arriverà nelle nostre case solo nel periodo a cavallo tra il 1980 e il 1981.
“IL PRIGIONIERO” è un ex agente segreto britannico, che per tutta la durata della serie conosciamo solo come NUMERO SEI. L’incipit della serie lo vede rinchiuso in un piccolo villaggio abitato da una serie imprecisata ed indefinita di figuri anche loro identificati con un numero progressivo. La sua reclusione forzata è il tentativo da parte dell’autorità di capire [o forse sarebbe meglio dire carpire] i motivi del suo pensionamento volontario dal ruolo di spia. Il ruolo di oppositore [e aguzzino] è rappresentato dal NUMERO UNO [che mai compare se non nell’ultima puntata] che esercita il proprio controllo sul villaggio tramite il suo fedele NUMERO DUE [la mente ed il braccio].
Lasciando momentaneamente da parte la trama [anche perché non ci interessa raccontare cosa succede o non succede ma ragionare sul significato degli eventi] non possiamo non riflettere su quelli che sono i temi trattati nelle varie puntate. Come detto siamo negli anni sessanta, questo è bene non scordarlo mai, e quindi occorre contestualizzare gli argomenti. Ciò nonostante i contenuti [tutt’altro che nascosti] di THE PRISONER creano un impatto assolutamente avveniristico e per certi versi rivoluzionario.
La fantascienza di cui sopra dicevamo è solo il punto di partenza, il terreno sul quale edificare tutta una serie di sotto argomenti di controcultura dalla portata dirompente che si alternano e si susseguono per le diciassette puntate. Ipnosi, tortura psicologica, droghe allucinogene, controllo della mente, ma anche la manipolazione dei sogni e non ultimo il furto di identità. Queste le prime [ma non le sole] tematiche che trovate spalmate nei vari episodi.
Per noi che di musica ci nutriamo quotidianamente è ancor più bello parlare di THE PRISONER, visto che la serie è stata fonte di ispirazione per non poche realtà musicali negli anni. A partire da quella che è a noi più cara, vale a dire lo scambio di battute tra il NUMERO SEI e il NUMERO DUE che si chiude con il fatidico “I’m not a number! I’m a free man!” usato dagli IRON MAIDEN nel brano “The Prisoner” [1982 – album “The number of The Beast”]. Ma non solo. Sono davvero molte le citazioni che rendono omaggio alla serie. Come dimenticare i DEATH IN JUNE che all’interno dell’EP “93 Dead Sunwheels” del 1989 inseriscono dei campionamenti in loop tratte da diversi episodi.
O ancora i JETHRO TULL che omaggiano “The Prisoner” nel video di “Sweet Dream” con la presenza dei PALLONI ROVER che catturano Ian Anderson, oppure i DEVIL DOLL che realizzano un concept album [“The Girl Who Was… Death”] ispirato alla serie o per finire la band mod THE TIMES ed il loro singolo “I Helped Patrick McGoohan Escape” del 1980.
In ambito cinematografico invece tra le tante citazioni ci piace segnalare in particolare KILLING ZOE [ coi due protagonisti che nella scena iniziale discutono del terzo episodio “Dormire, forse sognare”], ALTA FEDELTA’ [John Cusack chiede a Jack Black come si chiama l’attore della serie TV The Prisoner], MATRIX [nella sequenza finale mentre Neo è all’interno della stanza una TV accesa trasmette una puntata di The Prisoner] e THE TRUMAN SHOW [con chiari riferimenti tra cui le tende ed il carattere tipografico usati nel villaggio].
Ma il numero più alto di citazioni spetta [inevitabilmente] alle serie televisive che hanno attinto a mani basse nelle tematiche rituali di THE PRISONER.
Tra le tante ricordiamo LA DONNA BIONICA [nell’episodio finale si vede la protagonista dimettersi dal suo lavoro per poi dover eludere gli agenti del governo che cercano di imprigionarla in un villaggio per gli agenti speciali pensionati], IL TENENTE COLOMBO [in un episodio Patrick McGoohan cioè il NUMERO SEI, interpreta proprio una spia], BATTLESTAR GALATTICA [il personaggio interpretato da Tricia Helfer si chiama “6”], FRINGE [nell’episodio 3×01 “Olivia”, mentre la vera Olivia Dunham è rimasta nell’universo alternativo, scendendo le scale che portano a un parco pubblico, incrocia un uomo in sella a una penny farthing. Nell’episodio 4×19 “Letters of Transit”, Walter Bishop viene scambiato per un prigioniero e apostrofato come “The Prisoner”.
Al che Walter risponde: “I am not a number – I am a free man”] e infine LOST [i prodotti distribuiti dal Progetto DHARMA hanno le etichette stampate utilizzando il carattere tipografico che viene usato nel Villaggio].
Noi che abbiamo fatto della lotta al modernismo ed alla tecnologia incontrollata ed alienante la nostra battaglia sguazziamo come porci nel trogolo nelle tematiche della serie. In particolare ci piace rotolarci insieme all’idea che nel villaggio non piova mai e che il bel tempo contribuisca a regalare tranquillità e buonumore. Segno evidente della persuasione occulta e sul controllo subliminale [non ultima la ripetizione continua del refrain “oggi sarà un’altra giornata di sole”].
Per non parlare della somministrazione serale obbligatoria ed occulta di sedativi per garantire il riposo notturno. Azione orientata a denunciare l’uso indiscriminato dei farmaci e le lobby farmaceutiche. [ricordiamo sempre a chi se lo fosse scordato che siamo negli anni sessanta, mentre qui si ballano i watussi..] Il punto fondamentale intorno a cui a nostro avviso ruota il tutto però sta nella trasformazione della domanda chiave cui far riferire tutti i ragionamenti.
Se inizialmente si poteva pensare a DOVE FOSSE il villaggio a seguire troviamo un COME FUGGIRE dal villaggio per poi giungere alla domande realmente importante, vale a dire CHE COSA FOSSE il villaggio. Per cui è chiaro che la posizione geografica può essere ovunque, non è questo che conta, non è il villaggio ad essere identificato come il nemico ma l’avanzare incontrollato della tecnologia. Che tra le altre cose viene schernita dal simbolismo della bicicletta [simbolo del villaggio] un modello antiquato in un contesto moderno di ipertecnologia.
Il controllo altrui sul modello dei servizi spionistici sulla falsa riga della STASI o del KGB è evidente come richiamo nel momento in cui ci si rende conto che il villaggio non è una prigione per soli ex agenti segreti, ci sono infatti tutta una serie di controllori che spiano gli altri abitanti per poi riferire al NUMERO DUE ogni comportamento sospetto. Il ruolo del NUMERO DUE è tanto controverso quanto semplice. In ogni puntata abbiamo un diverso NUMERO DUE ma resta invariato il suo compito, che è quello di estorcere al NUMERO SEI il perché della su scelta di abbandonare il servizio. Come a voler dire che non ha più importanza l’individuo in quanto tale [inteso come singolo] quanto il ruolo da egli svolto.
Anche l’idea della dislocazione nascosta agli occhi dei più [centro sotterraneo] del centro di controllo dove vengono anche perpetrare torture fisiche e psicologiche funge da richiamo per distopie orwelliane sulla falsa riga del Grande Fratello [1984].
Qui tra monitor e nastri su cui vengono registrare tutte le conversazioni degli abitanti del villaggio pare di essere in un cento di controllo di tipo militare. Oltre alla sicurezza passiva, dal centro di controllo vengono attivati anche i ROVER, i grandi palloni, in grado di seguire i movimenti di eventuali fuggiaschi, e di bloccarli “ingoiandoli” al loro interno, fino a causarne lo svenimento, e in alcuni casi la morte.
Abbandonando le macchine per tornare invece per un attimo all’uomo non è semplice definire i caratteri dei personaggi. A partire dal protagonista [NUMERO SEI] di cui non ci vengono fornite che pochissime informazioni. Sappiamo solo che è un agente segreto che ha rassegnato le dimissioni dal suo posto di lavoro. Per tutta la serie non viene mai pronunciato il suo nome, così anche lo spettatore è costretto ad identificarsi in un uomo rappresentato da un numero, ma che rifiuta fermamente questa condizione.
Il nemico occulto possiamo identificarlo con il NUMERO UNO. Soggetto ambiguo e fuggevole che oltre a non apparire mai non fornisce nemmeno segno della sua reale e tangibile esistenza. Solo nell’episodio finale il NUMERO SEI riesce ad incontrarlo all’interno della stazione sotterranea dove si svolge un processo surreale ai suoi danni che si conclude con la sentenza che lo mette di fronte ad una scelta: abbandonare il villaggio e tornare ad essere un uomo oppure diventare il capo del villaggio. Qui ci fermiamo per non spoilerare chi non avesse avuto modo di vedere la serie [cosa che vi invitiamo caldamente a fare] ma diciamo solo che si tratta di un finale assolutamente apocalittico e di rottura totale con quanto visto fino a quel momento. E ripensandoci a posteriori, visto anche il senso socio politico che diamo alla serie, possiamo dire che è l’unico finale veramente possibile ed in linea con l’idea di base del progetto seriale.
Detto tutto questo fermiamoci alle riflessioni più che mai doverose prima di chiudere con tutte le nostre noiosissime parole. È indubbio che a distanza di tempo [e ne è passato davvero tanto..] i temi trattati siano ancora attualissimi. Ci riferiamo in modo particolare all’alienazione, all’affermazione dell’individuo, alle gerarchie sociali, al controllo delle masse, alla gestione delle informazioni personali, al potere e al suo asservimento, al riscatto sociale, alla libertà, all’amore e alla lotta dell’individuo per come imporsi in una società decisamente volta all’annullamento della persona.
Tutte cose di cui si parla [spesso in modo superficiale o a sproposito] anche oggi nel nostro quotidiano. Oggi come ieri si vive in un mondo in cui essere osservati [e quindi spiati] dalle telecamere [o da qualunque altro mezzo di controllo] rappresenta la normalità. Ormai non ci facciamo più nemmeno caso. siamo assuefatti a questo modo di vivere non solo le nostre vite ma anche quelle degli altri.
Sono tante le metafore usate da “The Prisoner” e fanno tutte quante riferimento alla lotta del singolo per difendere la propria identità e affermare la propria libertà. Il NUMERO SEI non combatte contro “il villaggio” o contro il NUMERO UNO, ma contro l’idea di doversi uniformare e seguire la massa. Si muove tra stratagemmi più o meno espliciti, doppi giochi e tradimenti continui.
Era ed è sì fantascienza [così accontentiamo i classificatori seriali] ma occorre anche contestualizzare il periodo storico nel quale è stata girata la serie. Erano gli anni della “Swinging London”, della contestazione giovanile, del clima di contrapposizione tra il Blocco Occidentale e quello Sovietico, del Vietnam ma anche del progresso tecnologico e della corsa verso lo Spazio.
Tutto questo appare, nella sceneggiatura: il design di THE PRISONER è un misto di tecnologia e design futuribili e architettura retrò, tensioni moderne e trame antiche. Come spesso accade tutto questo nasce grazie all’ossessione di un uomo solo.
Il conformismo è elevato a gradi quasi grotteschi grazie ad una cura dei dettagli [soprattutto per l’abbigliamento dei personaggi e degli arredamenti] che evidenzia come non ci si renda conto nel momento in cui ci vengono imposti degli stereotipi comportamentali [o estetici] di quanto possano essere lontani da quelle che sono le nostre reali idee o abitudini.
Sembra di parlare di oggi e invece sono già passati più di cinquant’anni.
Più informazioni su https://www.imdb.com/title/tt1043714/