HIGH DESERT QUEEN
“Palm reader” per Magnetic Eye Records è il nuovo disco degli High Desert Queen. Questo lavoro è semplicemente uno dei migliori dischi stoner e desert rock del 2024.
Il secondo disco del gruppo di Austin in Texas, è un piccolo capolavoro dove si incontrano distorsioni e melodie, asprezze desertica e lussuria come a Las Vegas. Il disco possiede molte atmosfere diverse, spazia tantissimo fra stoner e atmosfere più eteree, il tutto è composto molto bene, esplosioni laviche e tramonti sul deserto.
Il cantato di Ryan Garney è una delle peculiarità più importanti e belle del gruppo, e intorno ad essa gli High Desert Queen costruiscono un suono immediatamente riconoscibile ed unico, possente e immaginifico. Ci sono momenti nei quali il gruppo texano strappa il velo del tempo e lo sostituisce con pura meraviglia, momenti in cui tutto si sospende e c’pè solo musica.
Oltre allo stoner e al desert rock è presente per tutto il lavoro un terzo elemento molto importante e vero sottobosco del loro suono : la psichedelia in quota a stelle e strisce.
Ci sono molte accezioni nel suonare stoner e desert rock, poche valide come quella degli High Desert Queen. Kyuss, Fu Manchu, Red Fang alcune delle cose a cui possono assomigliare, ma questo gruppo è unico e ha firmato uno dei migliori dischi dell’anno in ambito stoner e desert rock. Suono distorto eppure limpido e cristallino, visioni nel deserto e sgommate sull’asfalto.
SAX THIS CANDY
Da venerdì 17 maggio è disponibile negli store e su tutte le piattaforme digitali “God Is My Witness” il nuovo album di Sax This Candy, pubblicato da Vina Records in collaborazione con Grammofono alla Nitro, distribuito da Believe.
Il gruppo torna a distanza di otto anni dal precedente disco, e porta ad un livello superiore un suono fatto di eclettismo musicale, canzoni mai ovvie e composte da tantissime cose diverse. I Sax This Candy sono Ivano Ursini alle chitarre, Giannicola D’Angelo al basso, Fabio Di Zio aka Artista Sadico alle voci, batterie ed effetti.
Il disco presenta molte sfaccettature differenti e si inserisce in un percorso che parte dalla new wave per andare molto lontano, in un suono situazionista e dall’immaginario vastissimo, con la musica come codice interpretativo per esplorare il mondo e noi stessi.
Il disco sembra quasi una sorta di rappresentazione teatrale, e l’effetto è proprio quello di una narrazione e non un qualcosa per perpetrare un ostile o una sottocultura musicale. La vastità musicale del disco è assai ampia, al suo interno ci sono davvero molti suoni e molte emozioni diverse, late, basse e mediane, è un caleidoscopio che ti avvolge e ti porta a spasso, con una musica che è quasi totale da quanto è avvolgente e coinvolgente.
Il gruppo pescarese ci porta davvero lontano e in posti mai sentiti con un lavoro che ha mille generi e mille destinazioni diverse, ma una cosa su tute : la musica nella sua forma più pura e zappiana.
PETRIGNO
“La lingua del santo” per Vina Records e distribuzione Believe, è il disco di debutto di Petrigno, palermitano di nascita e di volontà, rifugiatosi nei boschi del Lazio in seguito ad una grave perdita, per cambiare vita e pagine.
Il cantautore siciliano è anche disegnatore della copertina, dato che opera anche nel campo figurativo. Questo disco è una bellissima opera in nero di blues, e di rock , ma soprattutto di dolore e di vita vissuta, di necessità di ricomporre i propri pezzi dopo le rotture, e l’acquistare consapevolezza che forse non ci si aggiusterà mai.
Petrigno è un cantautore che con la sua poetica musicale riesce ad insinuarsi all’interno della nostra testa e soprattutto dentro la nostra anima, le sue fratture emotive diventano lenitive dentro chi ascolta questo disco, che è un atto catartico in tutto e per tutto, un provare a smettere di sanguinare per qualche momento, cercare di mettersi in bolla con il globo terracqueo per qualche momento, giusto per riuscire a volersi e a volere bene, ma non è facile, e la situazione è in continuo mutamento.
Il linguaggio musicale di Petrigno non è monolitico e anzi si compone di diverse elementi che a partire dal blues, inteso più come sentimento che come genere, ingloba alcuni elementi del rock e finanche dell’elettronica, il tutto è in equilibrio e funziona molto bene. Il musicista siciliano firma un disco molto tenebroso e di una bellezza struggente, anticamente spigoloso in qualche passaggio, ma di una bellezza abbacinante, attraverso metafore Petrigno dice molto di più di tante altre opere, si mette a nudo e non ha freni nell’esplorare il suo dolore che è poi anche il nostro.
Un disco che fa male, ma che al contempo fa sentire vivi e con voglia di continuare nonostante tutto, un pezzo di dolore che suona benissimo, un blues moderno e antico.
Una menzione specialissima va alla produzione di Valerio Mina che compenetra perfettamente Petrigno.