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Recensione : The Queen Is Dead Volume 27 – High Fighter Pachiderma Jena

Dopo l'acclamato album Champain del 2019, tornano sempre su Argonauta Records i tedeschi High Fighter con un disco dal vivo intitolato Live At The Rockpalast WDR.

Dopo l’acclamato album Champain del 2019, tornano sempre su Argonauta Records i tedeschi High Fighter con un disco dal vivo intitolato Live At The Rockpalast WDR.

Il disco è stato registrato dal vivo in un ex complesso industriale nel Landschaftspark di Duisburg , e trasmesso dalla tv tedesca WDR all’interno del programma televisivo Live At The Rockpalast, formato molto famoso in Germania. Il concerto è stato registrato dal vivo senza pubblico a causa della pandemia, che ha bloccato e sta tornando a bloccare tantissimi concerti e toglie ossigeno a gruppi e solisti. Ma la musica è una delle poche cose che ci può curare e quindi parliamo o meglio sentiamo l’ultimo disco del gruppo di Amburgo.

Il loro suono è un insieme di stoner, blues, rock e sludge, il tutto con melodia e al contempo un grande spirito metal. Gli High Fighter sono intensi e possiedono quell’emotività tipica dei gruppi con un talento al di sopra della media. La voce di Mona detta i tempi e le emozioni riuscendo a rimarcare con registri differenti i diversi momenti delle canzoni.

La dimensione dal vivo, seppur senza pubblico, giova moltissimo al gruppo amburghese che si dispiega in tutta la sua potenza, ed in tutto il suo sentimento, comunicando molte cose.

La produzione è molto accurata e precisa, il tutto suona benissimo e la voce di Mona è catturata molto bene, in bilico fra aggressività, dolcezza e melodia. In definitiva gli High Fighter sono un gruppo molto originale e deciso, con un suono sempre presente a sé stesso, veloce, potente e con il quid in più della voce di Mona, che valorizza al massimo le composizioni.

Rimaniamo sempre in casa Argonauta Records per l’esordio dei Pachiderma con Il Diavolo, La Peste e La Morte, un unico pezzo diviso in quattro sezioni ispirato all’opera filmica di Ingmar Bergman. Il disco è stato registrato in una settimana da Andrea Molocci al Molotov Studios. La resa sonora dei Pachiderma è lasciva, lussuriosa, composta da una stretta correlazione fra occhio ed orecchio, in un continuo rimando dallo schermo al nostro orecchio, con il nostro cervello come medium.

Sludge strumentale, stoner inabissatosi in un crepa di un mare marcio, il debutto dei Pachiderma è una maledizione sonica, un viaggio nel ritmo tribale ed arcaico della pulsazione senza freni, come prendere gli Sleep di Jerusalem e fonderli con i Primus al rallentatore, un rito dimenticato e dannato. Raramente si ascoltano dischi che hanno questa pulsione di vita e di morte che si fondono in un suono acommerciale, con bellissimi dialoghi dei film di Bergman che rendono sublime il tutto.

La Peste è un pezzo incredibile, i dialoghi bergmaniani che si insinuano in una cornice sonora sporca e drogata, con un basso distorto che viene inseguito da una batteria che si muove in sprazzi di luce, con qualche rimando all’opra degli Abysmal Grief. Un disco che è linfa vitale per chi non ha mens sana in corpore sano, ma vede altro, oltre la spalla della morte che si avvicina. Un piccolo grande capolavoro, uno sguardo allucinato su di un incubo infinito.

Concludiamo questo viaggio nelle uscite della ligure Argonauta Records con Graboid degli Jena, il loro secondo disco e una delle miglior opere southern metal mai apparse nel nostro paese. Il southern metal è un sottogenere che possiede molte sfumature e gli Jena colgono quelle migliori, grazie al loro ritmo incalzante, una ritmica pesante e le chitarre belle toniche che girano ad un alto numero di ottani.

Questo lavoro è la loro seconda apparizione su disco, ed è decisamente convincente.

Chi ama da un tot il southern metal sappia che qui troverà tutto ciò che lo ha portato ad amare questo figlio del metal nato negli stati del sud degli Usa. Per chi ancora non conoscesse il sottogenere questa è un’ottima introduzione. Il disco è uscito dopo diversi cambi di formazione e dopo tutti i guai che abbiamo vissuto negli ultimi venti mesi, guai che per un gruppo di appassionati suonatori bisogna moltiplicare per mille. Le difficoltà alla fine hanno valso agli Jena un gran bel disco, un notevole rilascio di energia, potenza e ottima melodia. Questo, come affermato da loro stessi, è il disco della rinascita per il gruppo e si sente tutta questa voglia lungo tutto il percorso del disco.

Il suono è notevole, bilanciato molto bene, con quella giusta commistione fra cattiveria e melodia che nel southern metal fatto bene raggiunge molto notevoli. Graboid è un disco che non vi lascerà indifferenti, trame sonore che non consentono di rimanere fermi quando si ascoltano.

Southern metal at his finest.

 

 

 

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