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The Sunburst – Swallow My Pride – Pontinvrea 24/10/2014

Una serata con Swallow My Pride e The Sunburst, due gruppi che in questo 2014 hanno debuttato con album splendidi.

Il concerto – di Alberto Centenari

Iyezine, nelle persone del sottoscritto e di Stefano, parte in missione alla volta di Pontinvrea, paesino dell’entroterra savonese, per assistere ad un concerto che, a livello underground, costituisce un piccolo evento.
Infatti questa sera al, Beer Room, accogliente locale (che tra l’altro tiene perfettamente fede al nome …) appena fuori dal paese, si esibiranno Swallow My Pride e The Sunburst, due gruppi che, in questo 2014, hanno debuttato con altrettanti album eccezionali e, in assoluto, tra i migliori nel genere alternative che, negli ultimi tempi, ha regalato lavori di qualità.
All’arrivo veniamo accolti dalle band in pieno soundcheck: una birra tanto per scaldarci (fuori è praticamente già inverno) e per renderci conto di che pasta sono fatti questi ragazzi, non solo come musicisti.
I primi a salire sul palco del Beer Room sono i due musicisti sardi, che si rivelano fin da subito una rodata macchina da guerra in sede live, presentando i brani del loro splendido album Cleo che hanno letteralmente avvolto il locale in un coinvolgente abbraccio musicale.
Incredibile l’impatto del duo, visto che sul palco pare che ci siano almeno il almeno il doppio dei musicisti, tali sono la forza con la quale Keko Magrini picchia sul suo drumkit e l’intensità che mette Elias Capra nel travolgere i presenti con uno tsunami di riff dal groove micidiale.
Apre le ostilità Lake’s Sound, brano di apertura dell’album che irrompe sul pubblico con le sue atmosfere tooliane, qui rese ancora più energiche da una reminiscenza stoner che fa degli Swallow My Pride uno wall of sound capace di mantenere sempre elevata la tensione in un concerto che vorresti non finisse mai.
I due musicisti suonano insieme praticamente da sempre e si vede, tanto la loro intesa è perfetta.
Passano uno ad uno, i brani di Cleo: Red, Rivality, Television, la pazzesca Strangers, fino ad arrivare a Little Chese, brano inedito, la toccante title-track, grandioso brano dedicato all’alluvione in Sardegna di qualche anno fa, Oceans e la fantastica Sardinian Cookie, clamoroso brano alla Primus che dal vivo risulta ancor più incandescente.
C’è ancora tempo per Puzzle, prima che Elias e Keko si congedino tra gli applausi dei presenti.

Swallow My Pride

Appena in tempo per un’altra birretta e i The Sunburst sono già sul palco: Rising esplode in tutta la sua carica, seguita dal singolo The Flow; l’adrenalina scorre così come il talento della band capitanata da Davide Crisafulli, che anche dal vivo non tradisce le attese confermandosi vocalist superlativo, accompagnato da un gruppo compatto, dove Luca Pileri è l’ottimo solista e la coppia ritmica Stefano Ravera (batteria) e Francesco Glielmi (basso) non si fanno pregare in quanto ad impatto e grinta.
Ottima la resa di Aerials, cover dei System Of A Down, prima che la band incanti con un altro pezzo da novanta di Tears Off The Darkness, Be Yourself.
Dal vivo la band ne esce ancor più metallizzata e gli altri splendidi brani dell’album, Somethin Real, Another Day e Unforgiven ne escono arricchiti dall’ottimo impatto e dalla forma dei nostri che non si risparmiano e regalano al pubblico un’altra riuscita cover, questa volta Man In The Box degli dei Alice In Chains, con la quale chiudono lo show.

The Sunburst

Insomma, anche dal vivo le band, distanti tra loro nel sound, ma unite dall’ottimo talento dei musicisti coinvolti, non tradiscono le attese, confermandosi come due tra le migliori realtà del nostro paese nel genere, decisamente più orientati verso l’hard rock i The Sunburst, dotati di gusto melodico straordinario, e spostati su lidi più alternative gli Swallow My Pride.

Note a margine – di Stefano Cavanna

Nella cronaca del concerto, Alberto ha elegantemente omesso di dire che, in fondo, se questa serata si è concretizzata, un po’ è anche per merito suo, dato che, avendo avuto l’opportunità di recensire entrambi i recenti lavori delle due band, è stato successivamente l’artefice della loro presa di contatto nel momento in cui gli Swallow My Pride erano alla ricerca di un’opportunità per venire a suonare in Liguria.
Già questo aneddoto può far intuire quanto per noi questo non fosse il classico concerto della serie “vado, guardo, bevo e torno“, bensì l’occasione per conoscere da vicino e di persona ragazzi con i quali i contatti, per lo più fino ad allora, erano stati rappresentati da scambi di mail o di messaggi.
Ci scuserete se parlo per un attimo di noi, ma questo si rivela fondamentale per capire dove poi andrò a parare: Alberto ed io ci conosciamo da una vita e fondamentalmente abbiamo sempre condiviso la passione per la musica (oltre a quella per una squadra di calcio piuttosto antica, ma questo è un altro discorso …)
Negli ultimi trent’anni, abbiamo visto concerti più o meno in ogni tipo di location e di ogni genere musicale gravitante tra rock e metal; abbiamo avuto l’opportunità di assistere dal vivo alle esibizioni di nomi storici, così come a quelle di band all’epoca sconosciute e che sarebbero arrivate alla fama solo in seguito, ma mai, sottolineo mai, ci siamo sentiti così appagati come dopo la serata trascorsa al Beer Room.
Sarà perché invecchiando tendiamo a commuoverci più facilmente o, più probabilmente, a dare peso a circostanze ed avvenimenti che, quando si è giovani, si lasciano scivolare via pensando già a ciò che si farà il giorno dopo, quel che è certo è il fatto d’aver realizzato, mentre facevamo ritorno a casa, che la serata si era rivelata splendida soprattutto per lo spessore umano delle persone che avevamo incontrato.
Cancellate dall’hard disk installato nella vostra capoccia l’idea di concerto che cercano di contrabbandarvi i media televisivi ed i grandi magazine specializzati: qui l’interazione tra musicisti e pubblico è reale perché, in fondo, ciò che li rende un corpo unico è una passione smisurata per la musica, che spinge gli uni a sobbarcarsi spesso viaggi estenuanti, rischiando persino di rimetterci dei soldi per suonare davanti a pochi intimi, e che induce gli altri a supportare e seguire band del tipo che, se ne parli a qualcuno, lo vedi strabuzzare gli occhi come se ti esprimessi in aramaico antico.
Alla base di tutto, come detto, c’è la passione: quella di chi sa benissimo che con la propria musica non ci potrà mai campare (almeno in Italia, forse in altri paesi qualche speranza ce l’avrebbe), ma se ne fotte mettendoci l’anima e anche qualcosa in più per offrire il meglio alle persone che si presentano ai loro concerti (che siano 10, 100 0 1000), e quella di chi di musica si diletta anche a scrivere, ben conscio di non poter ottenere nulla più di un circoscritto numero di contatti, riversandoci però tutta la conoscenza e l’esperienza di ascolto maturata nel corso di decenni per portare alla conoscenza di qualcun altro realtà sommerse meritevoli di attenzione.
Pur con tutto il dovuto rispetto per chi ha scritto pagine di storia fondamentali nel rock e nel metal (molto meno per certi inutili vecchi tromboni italici e per i polli d’allevamento da talent show), la musica vera passa da queste parti, certo non negli stadi o nei megapalazzetti italiani, dove i concerti sono in realtà operazioni di marketing molto simili alla commercializzazione dell’ultimo i-phone, per cui il messaggio (nemmeno troppo occulto) è: se non ci vai (o se non lo compri, nel caso dell’i-phone) sei un povero sfigato …
Eppure gli Swallow My Pride interpretano il loro ruolo di musicisti con una professionalità sconosciuta a molti di quelli che lo fanno di mestiere: provate solo a guardare i loro video che, al di là, della bontà dei brani ad essi associati, denotano una cura per i dettagli tutt’altro che banale, che li rende dei cortometraggi ricchi di citazioni cinematografiche capaci di ridicolizzare per qualità quelli di band con budget ben più importanti a loro disposizione.
Eppure i The Sunburst, più giovani dei loro amici sardi, non si accontentano di restare nel loro confortevole guscio di realtà musicale già abbastanza nota a livello locale e, oltre a ricambiare in questi giorni la visita recandosi sull’isola, si imbarcheranno nel prossimo mese di novembre in un breve tour che li porterà a suonare nell’est europeo, cosa che consentirà loro di vivere una di quelle esperienze che, indipendentemente da ciò che avrà in serbo il futuro , si porteranno dentro per tutta la vita.
La sintesi di questo sproloquio, nel corso del quale mi auguro di non essere caduto con troppa frequenza nella retorica, è che Elias, Keko, Davide, Francesco, Luca e Stefano appartengono alla categoria di quelle belle persone che il fato raramente ti consente di incontrare tutte in un colpo solo; a noi è successo e ci dispiace sinceramente per coloro i quali ritengono sia inutile perdere tempo con musicisti e band che non finiscono sulle copertine dei magazine, non fanno ospitate televisive e, soprattutto, non sono “cool” ….
E già, cari letterati che trinciate giudizi sprezzanti dall’alto della vostra sicumera, non c’è dubbio che per sentirvi qualcuno, magari di riflesso, sia molto meglio allora intrattenere rapporti di facciata con (pseudo)star annoiate che fingono di stimarvi considerandovi invece alla stregua di una cacchina.
Se questo vi fa sentire più importanti o più autorevoli continuate pure a snobbare la scena musicale underground: noi, al contrario, ce ne restiamo volentieri in questa nicchia fatta di passione, sudore, birra e soprattutto amicizia. What else ? (in realtà un’altra cosa ci sarebbe ma non mi pare elegante citarla …)

Stefano, Keko, Elias, Alberto

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