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Recensione : THE TELESCOPES – OF TOMORROW

Quindicesimo studio album per i Telescopes, indie/garage/noise/shoegaze/psych/drone/experimental band inglese attiva dal 1987 (con in mezzo un temporaneo scioglimento durato otto anni) e fondata dal frontman polistrumentista Stephen Lawrie – vero e proprio factotum del progetto e unico membro presente in tutte le incarnazioni del gruppo – insieme a Joanna “Jo” Doran e David Fitzgerald (nel frattempo passato a miglior vita nel 2020) che ha sviluppato un sound, ispirato da Velvet Underground, Suicide, krautrock, Lydia Lunch, Sonic Youth, Stooges, e 13th Floor Elevators che ha influenzato gente come Anton Newcombe, Black Rebel Motorcycle Club, Mogwai, Portishead e Radiohead (tra gli altri).

L’ensemble originario dello Staffordshire (e oggi creatura forgiata a immagine e somiglianza di Lawrie) sembra vivere un momento prolifico a livello artistico, avendo realizzato, nel 2023, sia un disco di folk music sperimentale registrata con piccoli synth e altri aggeggi, senza chitarre (“Experimental Health“, interamente composto e registrato dal solo Lawrie) sia questo long playing propriamente detto, “Of Tomorrow“, uscito a maggio sulla label tedesca Tapete Records e arrivato a due anni di distanza da “Songs of love and revolution“.

I nostri (cioè Lawrie e i musicisti che lo accompagnano in tournée) che di recente sono passati anche per l’Italia durante il tour a supporto del full length, mettono in scena in sette brani (anche questi creati, registrati e prodotti da Lawrie nel suo studio in Shropshire) all’insegna di solidi groove motorik scanditi da synth e organi, in un cambio di dinamica che si allontana dalla passata matrice rumorista ed è maggiormente improntato su suoni psichedelici/space e melodie più lineari. Un blocco compatto, permeato da un’aurea dark, in cui una canzone sfuma nell’altra in modo omogeneo, dall’acid psych dell’opener “Butterfly” a fragranze stonate à la Jesus and Mary Chain/Spacemen 3 in “Everything belongs“, a suggestioni berlinesi in “Where do we begin?”, alla malinconia Velvet/Lou con un feeling alla Mazzy Star in “Only lovers know“, al drone incessante à la Black Angels di “[The other side]“, al jangle psych pop dronizzato in stile JAMC/Primal Scream/Spiritualized di “Under starlight” fino agli otto minuti conclusivi di “Down by the sea” che riempiono, con eteree atmosfere dream pop, gli spazi lasciati liberi dal fragore del noise rock degli Lp precedenti.

In attesa loro sedicesimo Lp (la cui pubblicazione è già stata annunciata per febbraio 2024 su Fuzz Club Records) potete lasciarvi cullare dalla surrealtà di queste melodie monocromatiche imbevute di assenzio.

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