Ecco di nuovo la xx-family, il trio delle meraviglie che con l’acclamatissimo debutto del lontano 2009 aveva scosso dalle fondamenta la scena indie internazionale, di cui erano diventati pupilli prima ancora di uscire su LP, per essere poi accolti a braccia aperte, con un lieve ritardo, anche dal grande pubblico mainstream.
Nel frattempo, una carriera brillante come producer e remixer per Jamie xx, a buon diritto annoverabile tra i padri fondatori della post-dubstep dopo il magnifico tributo all’istituzione soul/jazz Gil Scott-Heron ‘We’re New Here’ e tra le figure più influenti in ambito elettronico.
Il pubblico di un gruppo acclamato per lo più via hype e caricato spesso di grandi responsabilità come gli xx varia, come è giusto che sia, da quelli che li amano perché sì a quelli che li odiano perché sì. Chi scrive, tanto per precisare, rientra nella casistica di quei pochi innamorati un po’ patetici ma sinceri: quelli che dentro a quella x bianca su sfondo nero ci hanno lasciato un pezzo di cuore e di anima, quelli che se prima di morire avessero tre desideri il primo lo utilizzerebbero per ascoltare “Fantasy” e il secondo per riascoltarla di nuovo.
‘Occorre che tutto cambi affinché tutto resti com’è’: è un sforzo di labor limae quello fatto dai tre inglesi per la loro seconda prova, modifiche e perfezionamenti minuscoli ma minuziosi, fondamentali per deificare quel ‘sound-xx’ che aveva preso una forma già piuttosto completa con l’esordio ma che era ancora in sospetto di imperfezione. Quell’azzardarsi in territori diversi e piuttosto lontani tra loro scompare del tutto per lasciare spazio ad un omogeneità e una decisione che lascia intuire come il gruppo abbia trovato il proprio modo ideale di fare musica.
Vocalmente, Romy abbandona quelle velleità chill-out a base di urletti e i picchi eccessivamente drammatici per concentrarsi su un songwriting nostalgico e romantico, che si mantiene sempre intenso senza perdere mai un certo contegno emozionale; mentre Oliver si fa meno sfuggente ed evanescente nei suoi rari momenti di solitudine (“Fiction”, “Missing” sembra replicare a ‘Fantasy’ ma con una presenza molto più corposa), duettanto senza timidezza ad ogni occasione buona (“Try”, “Tides”, “Unfold”, “Our Song”).
Dove si è veramente raggiunto lo stato dell’arte però è nei beat. Non solo riescono ad armonizzarsi perfettamente con un songwriting che, per sua natura, è quanto più lontano possibile possa essere dal loro completamento ideale ma lo fanno anche magistralmente, senza limitarsi a quei synth polimorfici ma versatili che erano diventati già da subito un instant classic e un trademark del gruppo, comunque massivamente presenti in tutto il lavoro (solo in “Tides” sembrano avere di nuovo la meglio basso e chitarra). Spesso Jamie sperimenta al limite del delirio sonoro, creando accostamenti così stridenti da diventare armoniosi e monopolizzando talmente l’attenzione da rischiare di mettere in secondo piano gli altri due colleghi (“Try”, “Fictions”, “Reunion”, così come nei bassi di “Sunset” o nell’outro di “Swept Away”).
All’orecchiabile, i tre concedono poco o niente: c’è giusto “Chained” a gravitare in zona pop, un singolo additivo che tra ritornello appiccicoso e chitarre ipnotiche va a colpo sicuro. Il resto della scaletta è occupato da atmosfere a metà tra l’etereo e il malinconico, concedendosi comunque momenti piuttosto coinvolgenti (“Reunion”, contornata da synth dal retrogusto tropicale), soprattutto in quei duetti che sono tra le cose migliori del disco, diventando poi completamente ipnotica nelle tracce più distese e sfuggenti, quei momenti in cui non si può fare altro che restare con il fiato sospesto (basti pensare alla già citata “Missing”, “” e lo stupendo epilogo “Our Song”).
L’andamento generale è per lo più lento, costante e delicato: la replica ideale all’esordio per gli amanti di certe sonorità più gentili, rischiando però di apparire più noioso a chi si era abituato a certi picchi di vitalità – soprattutto per quanto riguarda la seconda metà della scaletta, a cui però si arriva come ipnotizzati. Inutile provare a negare come “Coexist” sia la grande riconferma che spazza via ogni critica di superficialità ed estemporaneità gettata nel 2009. Non solo i tre londinesi si sono tolti di dosso ogni etichetta di band da un solo album ma, con una seconda prova così matura ma ostentatamente poco ‘user-friendly’, vengono spinti direttamente nell’olimpo della serietà musicale.
1. Angels
2. Chained
3. Fictions
4. Try
5. Reunion
6. Sunset
7. Missing
8. Tides
9. Unfold
10. Swept Away
11. Our Song