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Recensione : Tre camerati di Erich Maria Remarque

Questo romanzo, pubblicato per la prima volta in Germania nel 1936, è scritto in prima persona dal punto di vista del personaggio principale, la cui visione disillusa sulla vita è dovuta alle terribili esperienze vissute nelle trincee sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale; Tre camerati di Erich Maria Remarque, edito da Neri Pozza.

Questo romanzo, pubblicato per la prima volta in Germania nel 1936, è scritto in prima persona dal punto di vista del personaggio principale, la cui visione disillusa sulla vita è dovuta alle terribili esperienze vissute nelle trincee sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale; Remarque ci immerge nella tragedia post bellica dei sopravvissuti, che hanno i cadaveri dei compagni morti nel loro cuore e sempre li vedono davanti ai loro occhi.

In “Tre camerati”, terzo e ultimo libro della trilogia dedicata alla Grande Guerra e alla sua tragica eredità, l’autore descrive l’involuzione della società della Repubblica di Weimar nello scenario della crisi economica globale e dell’inarrestabile ascesa del nazionalsocialismo. “Niente di nuovo sul fronte occidentale” e “La via del ritorno” sono, rispettivamente, il primo e il secondo libro della trilogia.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • (…) arrivò il gas a invadere le trincee. Facemmo in tempo a indossare le maschere, ma quella di Middendorf era guasta. Quando se ne accorse era troppo tardi, e prima che se la potesse strappare e ne trovasse un’altra aveva già inspirato troppo gas e vomitava sangue. Morì la mattina seguente, tutto nero e verde in viso. Aveva il collo dilaniato dai graffi nel tentativo di liberarsi per respirare.
  • Vicino a me giaceva Josef Stoll: non aveva più le gambe, ma ancora non lo sapeva. Non era possibile accorgersene, perché la coperta era stesa sopra gli archetti. Del resto lui stesso non l’avrebbe creduto, perché sentiva dolore ai piedi.
  • (1923) Era il tempo dell’inflazione: guadagnavo duecento miliardi di marchi al mese. Si veniva pagati due volte al giorno e si riceveva ogni volta mezz’ora di permesso per precipitarsi nei negozi a comperare prima che fosse pubblicato il nuovo cambio del dollaro. Dopo mezz’ora infatti il denaro valeva la metà di prima.
  • (…) lui aveva sempre paura di perdere il misero posto di lavoro. E sarebbe stata la fine. Aveva quarantacinque anni. Se rimaneva disoccupato, nessuno l’avrebbe preso. Questa era la tragedia: un tempo si affondava lentamente, e c’era sempre la possibilità di tornare a galla; ora invece ogni licenziamento era seguito dal baratro della disoccupazione perenne.
  • (…) era un uomo mite dalle spalle spioventi e i baffetti corti: un impiegato modesto e dedito al lavoro. Ed è proprio a loro che le cose vanno peggio che a tutti gli altri. Come sempre, poiché la dedizione e la modestia sono premiate solo nei romanzi. Nella realtà vengono sfruttate e poi gettate in un angolo.
  • Rimasi lì seduto a lungo, pensando alle cose più disparate; per esempio a come eravamo tornati dalla guerra, giovani, senza fede, quasi dei minatori usciti da una galleria crollata. Avevamo voluto marciare contro la menzogna, l’egoismo, l’avidità di cuore, giustificazioni a tutto ciò che ci eravamo lasciati dietro le spalle. Eravamo stati duri, senza altra fiducia che quella nei camerati al nostro fianco e quella, che non ci aveva mai traditi, nelle cose: il cielo, il tabacco, gli alberi, il pane e la terra. Ma che cosa ne era sortito? Tutto era andato in pezzi, falsato e dimenticato. A chi non riusciva a dimenticare non rimaneva altro che lo stordimento, l’incredulità, l’indifferenza e l’alcol. Il tempo dei grandi sogni umani e virili era finito per sempre. I più furbi e intraprendenti trionfavano. La corruzione, la miseria.
  • Se (…) avessimo il denaro che non è stato ancora pagato per le macchine eleganti che ci guizzano intorno, potremmo metterci tranquillamente a riposo.
  • Che ne sapete, voi ragazzi, dell’esistenza? Avete paura dei vostri sentimenti. Voi non scrivete lettere, ma telefonate; voi non sognate più, ma fate gite nel weekend; voi siete ragionevoli in amore e irragionevoli in politica. Una generazione pietosa.
  • “Abbiate fiducia” disse. “Il Padre Celeste aiuta sempre, anche se qualche volta non ce ne rendiamo conto”. Poi mi salutò e se ne andò. Lo seguii con lo sguardo finché udii chiudersi la porta alle sue spalle. Già, pensai, se fosse così semplice! Aiuta, aiuta sempre! Ma ha forse aiutato Bernhard Wiese quando urlava con una fucilata al ventre nella foresta di Houthoulst, ha aiutato Kacinsky quando cadde a Handzaeme lasciando la moglie malata e una creatura che non aveva ancora visto, ha aiutato Muller e Leer e Kemmerich, ha aiutato il piccolo Friedmann e Jurgens e Berger e milioni di altri? Troppo sangue è stato versato nel mondo per questa specie di fede nel Padre Celeste.
  • (…) nella mia vita avevo visto tanti morti che qualunque malattia rappresentava ancora la vita e la speranza.
  • (…) non so più quanti uomini io abbia ucciso. Ma ricordo quel giovane inglese che ammazzai con una fucilata. L’arma gli si era inceppata e non poteva più far nulla. Ero a pochi metri da lui con la mitragliatrice e vidi perfettamente il suo viso infantile con gli occhi pieni di terrore. Infatti, come stabilimmo in seguito, quello era stato il suo battesimo; aveva appena diciott’anni e contro quel viso bello e spaventato sparai da pochi metri una sventagliata di mitraglia così che il cranio gli si spezzò come un uovo. Non conoscevo quel giovane e a me non aveva fatto niente. Allora impiegai più tempo del solito a superare il disagio e a calpestare la mia coscienza con la maledetta frase: la guerra è la guerra.

 

Cos’altro aggiungere? Nel 1938, da questo libro ne fu tratto un film sceneggiato da Francis Scott Fitzgerald.

 

Marco Sommariva

marco.sommariva1@tin.it

 

 

 

 

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