Umberto Dei non è una persona, è una bicicletta, anzi, un mito.
Il mito inseguito da Arnaldo Scura che lascia un remunerativo lavoro da broker finanziario per aprire a Milano una bottega da meccanico di biciclette.
Il negozio diviene crocevia d’incontri e avventure, fino a tingere di giallo le vicende di Nas, giovane studente afgano, aiutante di Arnaldo nel riparare bici, specie nel restauro delle Umberto Dei.
Potrete leggere passaggi come questi:
- All’ufficio stranieri mi guardavano come fossi un cretino quando gli dicevo che lo volevo assumere part time. Anche ai sindacati, allo sportello per gli immigrati, credevano di non avere capito bene: “Sì, voglio assumerlo, in regola, per le ore che lavora”. “Ma non è che vuole dargli una copertura?”. “Cioè?”. “Che magari lo aiuta per il permesso di soggiorno…”. “Cosa? Ma che razza di sindacato siete se davanti a uno che chiede una cosa normale, un part time per uno studente universitario, diventate subito diffidenti? A chi devo chiedere aiuto per metterlo in regola? Alla mafia cinese?”. Ero stupito, indignato. (…) Comunque alla fine ci sono riuscito. E a forza di compilare documenti l’ho imparato il nome di Nas: Mohammed Nasim Najibullah.
- (…) l’economia sui libri non è sporca di sangue, non ha la faccia dei bambini affamati. Gli esuberi non sono persone disperate perché tornano a casa senza lavoro e non sanno come pagare l’affitto. Sono conti, sono numeri di un gioco che ha un fascino grandissimo. Basta astrarlo, non farlo puzzare di sudore o di minestra. (…) in quest’astrazione a me piaceva quello che studiavo, piaceva eccome. Ma poi, fuori, sapevo che l’economia impediva alla gente di vivere, di farlo nel modo che pensavo fosse giusto. L’economia impediva ai barboni di lavorare, ai lavoratori di avere una casa, alle madri di crescere i figli, di farli studiare come i figli dei ricchi.
- (…) la rivoluzione, la contestazione, la piazza erano state messe a tacere dando la droga ai giovani e la televisione alle mamme.
- L’ultima, l’unica volta, che mi è arrivata a casa una convocazione dei carabinieri è stato forse nei primi anni Ottanta. È arrivata nella buchetta, come una specie di cartolina postale. Mi si chiedeva in maniera gentile e formale di passare in caserma. Ecco, per me questo è il modo con il quale le forze dell’ordine convocano i cittadini. No, capiamoci, non sono mica scemo, so bene come si muovono polizia e carabinieri quando vogliono. Ne ho viste di manifestazioni di piazza, ne ho visti di compagni arrestati, di amici col naso rotto in questura.
- E nel 2001 sono stato anche al G8 di Genova. Follia pura. Facevo ancora il broker, ma ci sono voluto andare, come avessi sentito un richiamo lontano. (…) Quando ho visto gli scudi, la celere, i lacrimogeni fischiare nell’aria mi sono detto: non ho più l’età. Non ho il fisico per essere qui. Non ho il fisico per lo scontro, per le fila di caschi schierati alla porta di servizio della caserma. Cazzo, era dopo la morte di quel ragazzo, Carlo Giuliani, il giorno dopo, verso sera, era tutto finito ormai, la manifestazione, le vetrine scheggiate, i rimbalzi di vetri delle auto, le corse tra le nuvole che bruciano gli occhi, raschiano la gola… Le grida: non gioia, non rabbia… Paura. (…) Arriva un uomo magro, stinto, che scandisce la litania di una parte della gente di Genova: non doveva accadere qui… Come se le peggio cose possono pure succedere, l’importante è che lo facciamo altrove. Poi due signori di settant’anni, una coppia, che camminavano mano nella mano dicendo che a Genova, mai, si era vista tanta ferocia. Ferocia di stato. Gratuita e spropositata. Genova è una città ospitale e antifascista.
- Non sono stato dove c’erano gli scontri davvero, no, non ne ho sentito neppure l’odore. Sono stato tra colorate paure, barbuti dejà-vu, increduli fanciulle, sbigottiti studenti, con fisico ed età adeguati, tutti incapaci di capire. Tutti assediati dalla visione più angosciante dello Stato, quello con la esse maiuscola. Tutti soli sotto una pioggia di lacrimogeni, di lacrime, di sole malato e di aria imbizzarrita dal vortice di pale di elicotteri. Tutti bersagli inconsapevoli di cose decise altrove, nate lontano. Ecco, bastava Genova per capire di cosa era capace la polizia. Era sabato. Lunedì ho rimesso la cravatta e sono andato in ufficio, ma già qualcosa si era rotto, tante cose si erano rotte, con Genova, prima di Genova. Mi ero rotto io. Insomma sapevo cosa potevano e facevano le polizie.
- Ma che fabbrichetta (…) ormai a Milano non si costruisce più nulla. Penso alla fabbrica di biciclette, alla Umberto Dei, all’officina Radius, alla Singer di via Columella vicino a viale Monza. Con le biciclette non c’entra nulla, c’entra con le macchine da cucire. Ma è un bel posto, con quel sapore di una città che faceva, che costruiva. Oggi tutti corrono, ma non fanno niente. Non si fabbrica più niente a Milano.
- Avrà sentito parlare alla televisione di terrorismo islamico? Ha presente l’11 settembre? Le torri gemelle? Gli attentati di Londra e di Madrid?
Ovvio che conosco queste cose, ma Nas cosa c’entra?
Non lo so e comunque non potrei dirglielo, però lo stiamo tenendo d’occhio e un po’ ci preoccupa.
Chi? Nas? Ma se è tutto università e biciclette?
Non solo, mi creda.
Che altro dovrei sapere?
Niente, dovrebbe tenere gli occhi aperti e chiamarci se ci fosse qualcosa che la insospettisse.
Mi sta chiedendo di fare la spia?
Diciamo di essere un bravo cittadino… Non vorrà mica che ci ritroviamo anche a Milano a dover tirare fuori i morti dalla metropolitana?
Certo che se tutta questa attenzione l’aveste avuta ai tempi di piazza Fontana: dopo 40 anni nemmeno si sa chi è stato. Qui addirittura pensate di sapere chi sono i terroristi prima ancora che facciano qualcosa…
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