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Recensione : Umberto Maria Giardini – Futuro Proximo

Non solo rock, ma tinte elettroniche, folk, pianistiche, d'archi, accompagnate da testi poliedrici, talvolta surrealisti, diretti, metaforici, quasi melodrammatici, funzionali ad una poetica dissacrante che mira ad un cercato realismo: c'è pure un rovescio della medaglia e si vede attraverso l'onda di un "Futuro Proximo". Umberto Maria Giardini si pone al centro della musica con questo album.

Prendere il tram in corsa in un mattino splendente di primavera inoltrata, carico e denso di tepore, è la sensazione che trasmette il lavoro ultimo di Umberto Maria Giardini, come se presentasse una carrellata di diapositive a colori, degna degli scatti più sentimentali del fotografo francese Cartier-Bresson, condite da certo wang dang doodle rock, ove punte psichedeliche di chitarra sfrangiano il tempo di ascolto; e non è tutto.
Spicca il ritmo quadrangolare, o meglio, l’appassionato tiro a più sponde lungo il nervoso tappeto elettronico, ove la felice e sofferta biglia musicale sfreccia ispirata scandendo prospettive emozionanti tra angolazioni laterali…

Resto favorevole allo sforzo creativo di Umberto Maria Giardini; parliamo di un lavoro che esplora la forma canzone, cantata in italiano, in ambito piacevolmente rock, dove pure convivono altre linee musicali non strettamente legate al genere preponderante. La canzone viene aggraziata dalla vena compositiva e dall’arrangiamento, le parole si apprestano notevolmente a interessare l’ascolto, i preziosismi vari (ad esempio nel terzo pezzo l’arpeggio della chitarra, il cui tocco è pura spinta motrice di totale impatto) danno valore ad un’opera fruttifera.
In rari momenti la voce di Umberto mi riconduce ad una bizzarra via di mezzo tra Nek e Zampaglione, e la cosa viene smentita durante l’ascolto; essa risulta naturalmente più interessante, specie perché legata ad una costruzione della song maggiormente complessa e fantasiosa.
La cosa più bella è godere delle atmosfere sonore, quadri primaverili direi, omaggi al floreale esplodere della calda stagione; la voce imprime uno sfondo solare immobile, traversato da attenti chiaroscuri alternati: nuvole passeggere, cambi di tono, e qui si ravvisa la maggiore espressività della voce.
E’ attento al particolare il buon UMG, un particolare che viene travolto dalla scia di queste luminose canzoni setose… lunghi strascichi di bianchi tessuti che nell’aria si librano disegnando affascinanti traiettorie, colpevole sicuramente il vento che spira seducente in territorio agreste.
Cartoline multimediali intense, quasi si mettesse in concorrenza con alcune rare atmosfere del Jeff Buckley di “Grace”, o del padre Tim di “Greetings from L.A.”… lo stampo italico e certe rotondità della forma “canzone rock” sono il meccanismo atto a spruzzare uno strano spray nell’aria che, adagiandosi sulla pelle, droga beneficamente i sensi di chi ascolta… La strumentale “Ieri nel futuro proximo” è esempio di personalità dai toni convincenti, c’è una marcia in più, la voce non grida, lo fanno sax e guitar che ci danno dentro alla grande.

UMG, infatti, ci sta dentro, lo sa fare molto bene il suo mestiere; collocato tra l’Alt e il disco fatto per essere stravenduto, straccia quelli che sono i cantanti italiani di grido, quelli che fanno mercato, le brodaglie che annaspano nella noia del trito e contrito. Invece, volendoci smarcare dalle due palle commerciali fin troppo easy, ecco visitare la fresca visione creativa di “Futuro Proximo”, districarci nel ricco mondo pieno di sorprese esibito nel disco, trasportati dalla voce di Umberto Maria, che si fa ascoltare posandosi come una bianca farfalla sulla spalla… vi pare poco?!

Entrando nel dettaglio delle singole suggestioni…

“Avanguardia”.
La cantilenante, o altalenante, “Avanguardia” è una ceretta fatta a caldo… la prospettiva delle nuove generazioni si riduce ad un assunto sentimentale: “Avanguardia è averti qui”. Sentire l’ottima chitarra come spunta la mente, svergina i prati di pacatezza sospirata dal cantato. L’incedere è maestoso, malinconico.

“Alba boreale”.
Sembra rubata ai CSI di Ferretti… la domanda che si incontra è rivolta al futuro dell’umanità. Metafore incalzanti nascono tra fantapolitica e sguardo realistico: aderisco come colla al testo: “Che faremo, che farai?”. Aspetteremo con disincanto le modifiche genetico-sociali. L’impatto cadenzato è rinforzato dal power rock, c’è spazio anche per l’elettronica, conferendo vertigine alle domande poste. Smarrimento roccioso.

“A volte le cose vanno in una direzione opposta a quella che pensavi”.
Le teorie, le domande poste da Umberto appaiono quali segni di spunta √ disegnati free sopra una tela ossessivamente martellata dalla base ritmica e che si scioglie poi in una cavalcata verso il sole della perdizione, dell’accettazione della condizione umana. Le ali spiegate della ritmica fanno capire che la bellezza non deve per forza essere spiegata.

“Il vento e il cigno”.
Questa canzone è un quadro pulsante, la voce è felicemente poetica e il testo acquista rilevanza, l’intreccio è un piccolo gioiello musicale: il sognante della chitarra aspira a raggiungere le vele di Gilmour, il cantato è sospeso, si nutre speranza di amore, di promesse che vengono da terre lontane. La sezione ritmica fusa al pianismo affresca l’enfasi della voce: “giuro tornerò”.

“Ieri nel futuro proximo”.
Strumentale poetico, si ravvisa il selvaggio Hendrix e i taglienti CSI di “Tabula rasa elettrificata”, naturalmente sono accenni sensoriali che gratificano i pezzi, i quali optano sempre scelte di suoni ed arrangiamenti eccezionali. La forma e la sostanza qui si glorificano, soprattutto con l’inserimento dei fiati.

“Dimenticare il tempo”.
Questo cantautore elettrico miscela le dosi sonore, gli spazi tra strumenti, le coloriture armoniche, ben organizzando il tempo di battuta: quel poco tempo di raccontare con grazia le canzoni, che creano un tutt’uno inscindibile con le parole.

“Caro Dio”.
Intima dimensione dal piglio folk, leggerissima ballata pastello aleggiata dal testo in maniera talmente amichevole che ci avvampa in tutta la sua genuina bontà.

“Graziaplena”.
Il rock elettro italico, la dimensione surreale testuale, la luna nera; farfalle, piedi nudi, nuvole, amante… uhm, quasi fastidioso ‘sto pezzo, non tanto da rovinare la media doverosamente alta dell’intero lavoro. Sorrido. Mi viene da pensare al Christian de Sica che canta “Ave Maria” nel film “Borotalco” dell’amico Verdone, virando verso una pienezza più variopinta
(https://www.youtube.com/watch?v=qCi6SAs1DRY ). Non v’è peccato.

“Onda”.
La parvenza è che sia stata scritta ed inserita apposta e subito dopo “Graziaplena” per riprendere il filo del discorso; dopo un piccolo affanno che ha determinato uno sfasamento “mollecolare”, ecco il ritrovato sprint… “e cercavi un’altra idea che tutto cambia, ma che par dir sì e invece era no; vedo l’onda che ci coprirà, distrugge la mia città” (Milano? ndr). Ritmo serrato, buona salute, brio: gagliardo! Il pop acquista senso, si gioca con le parole cincischiando sul cuore.

“Mea culpa”.
Il tratto romantico del piano è sorretto dal motivo cantato, impedendo così di scivolare nell’abisso dell’ovvio affibbiato al genere; Milano è il tutto da cui fuggire con rammarico. I titoli di coda scorrono volutamente in tal guisa; musica da camera che rimane dietro la porta chiusa una volta usciti fuori, magari per andarci a procurare il bel disco di Umberto Maria Giardini, in un “Futuro Proximo” da regalare.

TRACKLIST
1. Avanguardia 5:32
2. Alba Boreale 4:13 1°singolo
3. A Volte Le Cose Vanno In Una Direzione Opposta A Quella Che Pensavi 3:50
4. Il Vento E Il Cigno 4:51
5. Ieri Nel Futuro Proximo 4:54
6. Dimenticare Il Tempo 3:23
7. Caro Dio 2:39
8. Graziaplena 3:01
9. Onda 3:00
10. Mea Culpa 4:51

URL Facebook
https://www.facebook.com/UmbertoMariaGiardini/

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