Walter M. Miller Jr. riuscì quasi a completare il seguito del suo romanzo capolavoro “Un cantico per Leibowitz”, nel 1996. Di questo sequel ne aveva già scritto moltissime pagine, durante il suo esilio volontario nella sua casa solitaria, allontanatosi da quello che gli rimaneva della famiglia dopo la morte della moglie nel ’95, come un anacoreta dei suoi racconti. Accompagnato da forti attacchi di depressione. E da un fucile. Con cui si spara in testa il 9 gennaio.
Ma facciamo un passo indietro: tra il gennaio e il maggio del 1944 si svolge in Italia una battaglia cruenta, la battaglia di Montecassino, che vede impegnati gli americani sbarcati a Salerno contro la 10° armata nazista, nei pressi di Cassino. Nello scontro i bombardieri alleati distruggono la secolare abbazia benedettina di Montecassino in cui si erano asserragliate le truppe nemiche. Fu una specie di scandalo e l’azione di guerra fu aspramente criticata. Il Il fatto colpisce molto il diciannovenne Henry Walter M. Miller Jr, allora cannoniere dell’aeronautica statunitense che prese parte attiva al bombardamento dell’abbazia del V secolo. Si pensa che il fatto lo sconvolse in maniera tale da aprirgli le porte alla fede cattolica, di cui per tutta la vita fu un credente. Dai suoi libri si evince lo studio appassionato della religione, senza bigottismo, ma con fervida curiosità.
Ora andiamo al 1950. Un piccolo incidente automobilistico blocca a letto Walter. Comincia a scrivere, si narra, proprio da quel momento. Una serie di racconti di fantascienza che pubblica su diverse riviste, poi un libro. Un libro che vince il prestigioso Premio Hugo del 1961, stesso premio che aveva già vinto precedentemente, nel 1955, col racconto “Il mattatore”. ( Apro una parentesi sul premio Hugo: molti pensano o possono pensare che sia dedicato allo scrittore francese Victor, niente di più errato: l’Hugo in questione è Gernsback, il fondatore della mitica rivista “Amazing Stories”, la prima rivista di fantascienza del mondo). Il libro in questione è “Un cantico per Leibowitz”, libro che poi sono tre lunghi racconti che precedentemente aveva già pubblicato sulle rivista “The Magazine of Fantasy and Science Fiction” raccolti in un unico tomo, corretti, e rimpolpati. Un gioiello post-apocalittico che sarà il prodotto letterario di W. Miller che passerà alla storia, proprio perché riesce a unire e a codificare in maniera arguta e brillante due temi come la religione e la distopia fantascientifica nell’ambientazione suggestiva di una specie di medioevo del futuro che gradualmente si trasforma nel tempo in una società di autostrade che incorniciano deserti, miriadi di automobili che sfrecciano da sole, mutanti da radiazioni.
“Un cantico per Leibowitz” è un’ucronia in tre atti, protagonisti principali i monaci di un Santo canonizzato da una Chiesa post-bomba, Nuova Roma, in un mondo desertificato: il Santo Leibowitz. Monaci che sono Memorizzatori e Ricercatori di Memorabilia: i sacri resti di un’età precedente che viene trascritta per essere tramandata ai posteri, per far sì che l’uomo possa ancora avere un accesso al passato, per portare avanti il filo rosso della civiltà, per non dimenicarsi.
La prima parte è incentrata quasi unicamente sulla storia dell’eremitaggio da quaresima del novizio Francis e del suo incontro cruciale con un pellegrino misterioso che gli svelerà l’accesso a un rifugio da fall-out nucleare, che agli occhi del giovane assumerà la connotazione di una rivelazione mistica, grazie alla scoperta di reliquie del passato che manderanno in subbuglio sia Francis che l’intero monastero.
La seconda parte, 600 anni dopo, è incentrata sugli intrighi di potere che giocoforza coinvolgono il monastero, sull’arrivo di uno scienziato tra i frati per studiare i loro volumi e i Memorabilia, sullo sfondo di una guerra imminente tra tribù selvagge e una politica che caracolla, la dicotomia religione/scienza come cardine della storia.
Nella terza, ancora 600 anni dopo, il mondo è notevolmente cambiato, la tecnologia ha ripreso il sopravvento, come la belligeranza quasi ottusa delle nazioni, qua ritratte in due poli di cui uno occidentale e uno asiatico, e la guerra nucleare è ancora minacciosamente alle porte.
Scritto tra il ’55 e il ’57, in pieno periodo di paranoia da olocausto nucleare da guerra fredda, il libro attinge nitidamente da quel clima di paura, tracciando un racconto la cui spina dorsale che percorre l’intero gigantesco periodo della narrazione (notare il 6 che si ripete per tre volte, un caso?) è appunto l’ambientazione non solo post-nucleare del primo e secondo racconto ma un nuovo pre-nucleare del terzo, come se Miller ci dicesse che gli uomini cadono sempre nello stesso errore, la sua storia ne è contaminata, come un peccato originale sempre vivo, e la guerra, la distruzione, la fanno da padrone:
“Ascolta, siamo impotenti? Siamo destinati a farlo ancora e ancora e ancora? Non abbiamo altra scelta che fare la parte della Fenice, in una interminabile sequenza di ascese e di cadute? Assiria, Babilonia, Egitto, Turchia, Cartagine, Roma, l’impero di Carlomagno, l’impero ottomano. Ridotti in polvere e cosparsi di sale. Spagna, Francia, Bretagna, America…bruciate nell’oblio dei secoli. E ancora e ancora e ancora.” Ecco come col potente lirismo di cui è densa la terza parte cosa ci dice l’autore.
Quindi bisogna assoggettarsi alla religione o alla scienza. C’è per caso un’alternativa?
Questo duopolio filosofico nel mercato delle anime scinde in due gli uomini. A chi fare affidamento?
In questo mondo in cui la distruzione nucleare è ormai a un passo, ai frati di San Leibowitz non resta che trasferire i memorabilia da un’altra parte, gli unici documenti che potranno portar la luce della religione e la conoscenza del Passato. E dove portarli se non su una delle tante colonie nello Spazio, lontane dalla Terra sulla quale incombe una nuova Fine?
Sulla Terra torneranno solo deserti, le bombe lanciate da una o l’altra fazione, è uguale: occidentale o orientale le fazioni cambiano, come forse le motivazioni, ma gli effetti, quelli rimangono gli stessi. Come se il destino dell’umanità è il ripetersi ciclico di un medioevo brutale, forse perché la modernità porta con sé inevitabilmente le armi più potenti, gli istinti peggiori accompagnati da una tecnica distruttiva sempre più spaventevole.
Lo Spazio, nei suoi lontani pianeti conquistati, nelle colonie di satelliti appena sverginati, diviene allora il simbolo della speranza, diventa la nuova Terra Promessa.
Libro imprescindibile per gli appassionati di fantascienza e nello specifico del post-atomico, l’autore riesce a coniugare una visionarietà non comune a una tecnica narrativa di spessore.
Vi consiglio di leggere questo libro ma anche i racconti di Walter Miller, forse di difficile reperibilità ma cercando bene si trovano. Mondadori ha pubblicato nell’88 un pregevole volume nel quale compaiono oltre al Cantico i racconti “Benedizione oscura”, “Umani a condizione”, e il già citato “Il mattatore”. Se lo vedete in giro, rubatelo, è abbastanza raro, ne varrà la pena.
Tornando all’inizio: il seguito de “Un cantico per Leibowitz” ebbe la sua conclusione. Lo scrittore Terry Bisson prese in mano il manoscritto del defunto Miller, ci aggiunse un centinaio di pagine e riuscì a dare alla luce “San Leibowitz e il Papa del giorno dopo”. Delle pagine scritte da Miller, Bisson non toccò una parola, disse:
Era geniale. Era bello. Era quasi perfetto.