Industrial canadese dai veterani Unit:187 con il loro ritorno discografico dopo anni, si prosegue con la dirompente poesia musicale del sudafricano Chares East, si passa nel post grunge e metal alternativo degli americani The Oddeven, per concludere con le psicosi distopiche del duo italiano Deflore.
UNIT:187
“Killcure” su Metropolis Records è il tanto atteso ritorno del gruppo canadese Unit:187, che aveva lasciato a digiuno musicale i suoi adepti fin dall’ormai lontano 2010, quando pubblicarono “Out for blood” su Vendetta Music. Il gruppo nacque nel 1994 a Vancouver in Canada, ad opera di John Morgan e Tod Law. Il gruppo rinforzava le robusta fila della scena industrial della città di Vancouver, patria dei Front Line Assembly e degli Skin Puppy fra gli altri.
Il gruppo esordisce con l’omonimo debutto su 21 Circuitry e fanno subito un’ottima impressione, grazie al loro suono che spazia dall’industrial all’ebm, con momenti industrial metal notevoli. Il secondo disco dal titolo “Loaded” sempre su 21 Circuitry vede alla produzione il musicista e produttore Devin Townsend, semplicemente uno dei maggiori istrioni della storia della musica moderna, e diventga ben presto un disco fondamentale nella scena industrial e non solo, e il nome comincia a girare per tutto il mondo.
Purtroppo dopo quattro dischi nel 2015 muore a causa di una leucemia il fondatore Tod Law e il gruppo entra in una pausa indefinita, per poi tornare alla ribalta con questo disco. “Killcure” è un buon ritorno, l’incedere è fortemente industrial e distorto, corrosione e tecnologia deviata, un qualcosa di forte ma sempre orientato a far ballare la gente, e anche gli zombie.
La produzione del disco è curata molto bene, i suoni sono fedeli e nulla è lasciato al caso. Il suono è fortemente Unit:187 e la notevole eredità di Tod Law è ben presente anche a distanza di anni dalla sua morte, e lui stesso è presente all’interno del lavoro, infatti la sua voce si trova nelle tracce “Glamhammer”, “New beginning”, “Famous face” e ” KillCure”, e questa è una cosa assai notevole.
Un gran bel ritorno, il gruppo canadese è un qualcosa di unico e lo conferma con un disco speciale. Molto azzeccata la mossa di aver messo alla voce colei che era in precedenza la corista, Kerry Vink-Peterson, in possesso di una voce molto adeguata a queste latitudini musicali.
CHARLES EAST
Il sudafricano Charles East è uno di quegli oggetti musicali non identificati che fortunatamente e raramente solcano i poveri cieli musicali di questa epoca assai oscura. “Dislocated” è il suo debutto discografico sulla lunga distanza ed esce per la magistralmente sperimentale etichetta genovese Brucia Records, ed è qualcosa di altamente originale e assai particolare, un piccolo capolavoro. Innanzitutto, come la musica migliore, Charles East non appartiene ad una corrente musicale, ma è un corridore in solitaria; le sue radici sono il pianoforte ed una voce teatrale, bellissima e molto versatile.
Da qui, e da un’ottima capacità compositiva, parte questa avventura musicale che vi metterà le mani nelle viscere, ve le farà uscire per tramutarvi in qualcosa di nuovo. Charles è il vento che ti scuote su di una scogliera a picco sul mare, la pioggia che ti picchia sul volto e ti raffredda l’anima, come il calore di un abbraccio definitivo e forse finale, il profumo dell’erba misto a quello della benzina, il caos e l’amore che trova la morte.
Dentro questo disco le etichette musicali mutano in maniera così veloce da compenetrarsi, cantautorato in stile Neurosis, pianoforte sull’orlo dell’abisso, doom, post punk e tanta sensibilità gotica. Uno dei sentimenti più forti e maggiormente presenti in questo disco viene rappresentato benissimo dalla copertina di Evokaos di Brucia Records, e quei tentacoli che escono dagli occhi di Charles sono l’estensione fisica del suo pianoforte, lo strumento con il quale si esprime meravigliosamente insieme alla sua voce.
Il pianista sudafricano introduce al mondo la sua maniera di suonare il piano e in pratica battezza una genere a sé stante, un qualcosa di pazzesco e intensissimo, infatti c’è più dentro questo primo atto musicale che in altre carriere decennali e oltre. Gli echi di tantissime cose diverse qui escono fuori dagli scogli dove il mare picchia fortissimo, siamo in mezzo alla nebbia ad ascoltare un menestrello che tira fuori tutto il suo e nostro dolore, tutto lo spiazzamento e l’angoscia che ci provoca questo continuo rollio, questa turbolenza senza fine che chiamiamo vita.
Something completely different. Tutti gli album della Brucia Records sono ad offerta libera sul loro bandcamp, e i lavori di questa etichetta non hanno prezzo, supportiamola.
THE ODDEVEN
“Outer space outtakes” su Eclipse Records è il nuovo disco degli americani The Oddeven. Il loro baricentro musicale si aggira dalle parti del post grunge, hard rock altro e qualcosa di stoner. I loro riffs di chitarra sono belli grassi e potenti, gustosi e di ampio respiro, e il loro suono si avvicina molto al grunge americano molto imparentato con l’hard rock.I The Oddeven sono un gruppo di esperienza, i musicisti che ne fanno parte sanno molto bene come si fa rumore, e lo fanno molto bene.
Il disco non presenta esitazioni o momenti di stanca, e la sua caratteristica principale è il groove, un tiro che cresce nota dopo nota, elaborazioni musicali che poi portano a ritornelli molto godibili e ben bilanciati, in pieno stile post grunge americano.
Infatti il disco ed il gruppo sono parecchio americani nel suono e nella loro capacità di rielaborare l’eredità lasciata da gruppi come gli Alice In Chains, vero e proprio faro artistico per moltissimi gruppi, nonostante passino gli anni questo ambito esce sempre di più alla ribalta. “Outer Space Outtakes” è un disco molto ben riuscito, un compendio di come possa essere il post grunge e il metal alternativo fatto molto bene ed in maniera onesta, senza strafare, facendo tutto molto bene e producendo un gran bel disco.
Ruvidezza e grande melodia si incontrano molto bene in un disco che presenta tanti pregi e davvero pochi difetti. Un altro punto a favore di questo lavoro è la sua versatilità stilistica, elementi che lo faranno apprezzare ad un pubblico ampio e variegato, non è rivolto ad una nicchia di persone ma è anzi molto aperto a tanti tipi di pubblico. Primo singolo e video è la bella “Come home”, una ballad dei nostri tempi.
DEFLORE
Tornano con il loro settimo disco i Deflore, gruppo italiano di rumore ad altissima quota, “Defective Music for a Daily Psychosis” su Subsound Records.
I Deflore percorrono un sentiero musicale tutto loro e lo fanno con autonomia e creatività, creando un suono che può essere definito molto vicino a quello dei Killing Joke, gruppo la cui importanza non viene mai abbastanza riconosciuta, ed infatti nel 2019 i Deflore de Jaz Coleman demone ex machina dei Killing Joke hanno confezionato insieme l’ep “Party in the chaos” sempre per Subsound Records.
Qui andiamo oltre l’ep suddetto, e il loro suono scava ancora più in profondità all’interno degli antri più reconditi e nascosti della nostra psiche, sezionando la pazzia e la psicosi della nostra società.
Christian Ceccarelli (elettronica, basso, sintetizzatore e campionatore) e Emiliano Di Lodovico (chitarre, sintetizzatore) creano un universo sonoro paranoico e radente al sotto suolo, mescolando elettronica, industrial, qualcosa alla Godflesh, dub e psichedelia per una sintesi musicale distorta e senza baricentro fisso. Quest lavoro, rispetto agli altri, mette ancora di più in evidenza il loro lato noise e tribale, accentuato anche dall’uso di percussioni che si sono costruiti da soli e che rendono il loro suono ancora più particolare ed abrasivo. I Deflore compongono un groove moderno e al contempo ancestrale e questo disco verte su riffs che mutano e si ripetono innestandosi in patterns glaciali e stranianti che provocano nel nostro cervello un campo magnetico molto forte. I Deflore sono un gruppo che rappresenta un unicum nel panorama del sottobosco musicale italiano, una eccezione che riprende ritmi ancestrali per proiettarli nel futuro attraverso una breve permanenza nel presente. Psicosi musicali ipnotiche.