“Uzeda – Do it yourself” è un docufilm, realizzato dalla regista Maria Arena (e prodotto da DNA audiovisivi e dalla casa di produzione indipendente Point Nemo) che racconta la storia degli Uzeda, fondamentale alternative/math/noise rock band italiana, formatasi nel 1987, che ha tracciato il proprio percorso musicale senza scinderlo da quello umano, fortemente etico e basato sulla filosofia lavorativa e ideale di vita “Do-it-yourself” (caratterizzato, complessivamente, da cinque studio album e due Ep, ma soprattutto una fiera attitudine indipendente, portata avanti senza cedere a pressioni e lusinghe commerciali di major e multinazionali, né scendere a compromessi col business del mainstream discografico, suonando e incidendo materiale solo per passione e senza scopo di lucro, senza scadenze contrattuali, ma spinti dal bisogno di dire delle cose, rispondendo soltanto al fuoco creativo della propria caparbia convinzione) e volutamente radicato nell’underground del R’N’R italiano ed europeo, partendo da Catania e arrivando a fare tour negli Stati Uniti, dove hanno ottenuto tanti attestati di stima (gli Lp usciti per la seminale label indipendente Touch and Go records di Chicago) e riconoscimenti (su tutti, l’apprezzamento del musicista e recording engineer Steve Albini, con cui collaborarono diventando anche grandi amici) e prendere anche parte a due delle rinomate session (unica altra band italiana a fregiarsi di questo orgoglio, insieme alla PFM) alla corte radiofonica del compianto disc-jockey inglese John Peel alla BBC.
La Arena – siciliana di nascita e conterranea degli Uzeda – ha dichiarato di aver sviluppato l’idea di un film sul gruppo senza fare troppi programmi, adattando la progettualità agli accadimenti, senza un piano, ma seguendo il desiderio di fissare un pezzetto di vita e di storia degli Uzeda, perché ci fosse una traccia audiovisiva che raccontasse il modo di essere di una band indipendente che ha mantenuto questa prospettiva per trenta anni, nonché per scoprire come si può vivere mettendo al primo posto la musica, la ricerca, la sperimentazione, il dialogo con se stessi, un’economia senza plusvalore, dove i soldi, proprio come la chitarra, il basso, la batteria e le corde vocali, sono solo uno strumento, e il suono non è la somma degli strumenti, ma altro: è qualcosa di dirompente che si
scatena.
Si fa risalire la narrazione, temporalmente, al 1991, quando i nostri (Giovanna Cacciola alla voce, Davide Oliveri alla batteria, Raffaele Gulisano al basso, Agostino Tilotta e Giovanni Nicosia alle chitarre, quest’ultimo poi fuoriuscito nel 1995) dopo anni trascorsi a suonare in giro per l’Italia, viaggiando su uno sgangherato furgone rosso, spedirono una demo al succitato Steve Albini (alla cui memoria è dedicato il lungometraggio) che rispose alla chiamata e volò dagli States a Catania per registrare, con gli Uzeda, l’album “Waters“, segnando l’inizio della svolta per i ragazzi che, negli anni, stringeranno con Albini un sodalizio artistico e un rapporto di fraterna amicizia extrastudio lungo tre decenni) da lì in poi, suonando in giro per il mondo ma, alla fine di ogni tour, tornando sempre a casa, nella loro Catania, città alla quale sono indissolubilmente legati (il nome “Uzeda”, infatti, si richiama alla porta barocca che si apre sulla piazza del Duomo) un contesto geografico e identitario, dove la loro natura internazionalista è nata da radici ben salde che, agli impegni e ai rituali della vita quotidiana, affiancano il desiderio di dare sfogo a quella scintilla artistica che trasforma in elettrica magia la loro musica, un calderone magmatico, oscuro e aspro come l’Etna, il vulcano sotto il quale il combo vive e continua a essere un faro esemplare per tutti coloro che vogliono coltivare le proprie passioni sacrificando tempo e denaro, ma non la dignità, per portate avanti un discorso di sogni, lotta e dedizione alla causa, senza conformarsi alle mode delle masse (un unicum diventato addirittura oggetto di studio per uno studente americano, stabilitosi a Catania per un dottorato di ricerca alla UCLA sulla vicenda degli Uzeda).
La pellicola è stata girata tra il 2016 e il 2020 (e ultimata, nel 2023, grazie a una campagna di crowdfunding) documentando, attraverso materiale di repertorio, sequenze in cui i componenti del gruppo vengono ritratti nella loro vita di tutti i giorni, la storia dei dischi pubblicati e le immagini tratte dai loro concerti, fra cui spiccano quelli del 25 e 26 maggio 2018 all’Afrobar di Catania, quando la band celebrò il suo trentesimo anno di attività esibendosi insieme a gruppi amici come gli Shellac di Albini, i Three Second Kiss (nei quali milita il figlio di Agostino e Giovanna, Sacha Tilotta, musicista, produttore e sound engineer che ha anche contribuito alla sonorizzazione del docufilm) The Ex, Black Heart Procession e i June of 44, riunitisi per l’occasione. Presente e passato, dolori e gioie, pause e ripartenze, interviste ai membri del gruppo (alternate a testimonianze degli estimatori) si susseguono in un racconto scandito dalla costante presenza dell’amico e mentore Steve Albini, spirito libero che condivideva, coi nostri, la stessa visione ed etica DIY del lavoro, e che puntualmente supportava tutte le tappe musicali degli Uzeda, fino alla realizzazione di quello che, a oggi, rimane il loro ultimo long playing, “Quocumque jeceris stabit“, registrato a Verona nel 2018 e uscito l’anno successivo.
Dopo una proiezione in anteprima in tarda primavera, “Uzeda – Do it yourself” arriva, questo autunno, a essere fruibile per tutti gli appassionati della band (e del rock ‘n’ roll in generale) con la distribuzione in alcune sale selezionate in giro per l’Italia, iniziando, logicamente, dalla natia Catania. Qui è possibile controllare tutte le date (in continuo aggiornamento).