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Recensione : Varego Denti di cane

“Denti di cane” non è uno sfogo, è il tatuaggio di quello che siamo, giusti o sbagliati non importa, questo disco non giudica ma parla con il supporto della musica che amiamo fatta in una maniera originale e che fa capire che l’underground è il nostro posto, sia di chi ha fatto questo disco sia di chi l’ascolta e siamo ben contenti di stare qui, e “Denti di cane” lo fa capire molto bene.

“Denti di cane” non è uno sfogo, è il tatuaggio di quello che siamo, giusti o sbagliati non importa, questo disco non giudica ma parla con il supporto della musica che amiamo fatta in una maniera originale e che fa capire che l’underground è il nostro posto, sia di chi ha fatto questo disco sia di chi l’ascolta e siamo ben contenti di stare qui, e “Denti di cane” lo fa capire molto bene.

Tornano i liguri Varego con il loro nuovo disco “Denti di cane”. Con l’uscita del precedente omonimo disco del 2021 il gruppo ha celebrato l’inizio della loro nuova vita, essendo diventato un terzetto dopo l’uscita del chitarrista e fondatore Gero patron dell’Argonauta Records, e passando definitivamente alle liriche in italiano dopo un esperimento con il brano “Raptus” nel disco dle 2021.

I Varego nascono nell’alveo post metal, in quel suono fra Neurosis e Alice in Chains, con testi molto evocativi e che parlavano di fantascienza e spazi infiniti. Come nei gruppi migliori tutto muta, è cambiata la formazione, è cambiato il suono e anche la lingua e il soggetto dei testi, non la qualità. I Varego ora sono una cosa ben diversa da prima, e sono qualcosa di nuovo che richiama molte cose e con un tiro micidiale, un incontro perfetto fra musica pesante e testi in italiano. La voce di Davide Marcenaro viaggi molto bene insieme al suo basso, e i suoi testi sono qualcosa che sembrano scritti di pancia ma sono meditazioni sulla nostra vita e sulla nostra natura, con qualcosa che rimanda ad un’era lontana della musica italiana, con testi che assomigliano all’era underground degli anni novanta, dove il surrealismo si sposava benissimo con la quotidianità.

L’unica chitarra ora rimasta, quella di Alberto Pozzo ha le briglia sciolte dei riffs hard rock ed heavy metal, che regalano grande profondità ed originalità al gruppo, che anche grazie a questo non si lascia catalogare facilmente ma offre molteplici prospettive sonore all’ascoltatore.

La batteria di Simone Lepore è sempre potente e precisa, e ha un ruolo molto importante e un suono che non si incontra facilmente. Si comincia con il secondo singolo tratto dal disco, “ Giardini di plastica”, pezzo ispirato da un luogo unico di Genova, città importante per i Varego; questo è una canzone che vale da sola un disco, un incontro perfetto fra liriche meravigliose e un suono hard rock che coniuga melodia e potenza. Il testo è incentrato sui senza fissa dimora, quegli invisibili che non vogliamo vedere, che non consociamo ma giudichiamo, e che potremmo diventare facilmente noi, è un attimo. Una traccia unica messa giustamente all’inizio del lavoro, che fa capire molto bene cosa sono i Varego attuali, con un ritornello di altissimo livello per una traccia che no nsentivamo da tempo così bella in italiano.

Si continua con “Peste bianca” un viaggio sonoro maggiormente intricato e stratificato rispetto al primo disco, con riffs hard heavy, con un cantato molto ben congegnato, il senso del testo viene svelato poco a poco, con un senso teatrale sempre incentrato sul senso della nostra vita e di questa società, e il tutto funziona benissimo, “..sempre più stupidi nel passato che verrà…” La successiva “Macchie” è un rallentamento rispetto ai pezzi precedenti, e i Varego ci mostrano un loro lato musicale più simile ai Ritmo Tribale e ai Timoria più hard, ma sempre con un tocco molto molto personale, con un testo che disegna benissimo la volontà di scappare da queste catene, di volare e nuotare lontano, con grandi melodie, un pezzo che ribadisce di nuovo la netta svolta artistica. “Non finirà” ha un incipit che racchiude in un minuto la forza dell’immediatezza del trio ligure, che riesce a far colare note e concetti molto importanti in appena tre minuti e venticinque ed è una traccia molto importante per capire il percorso di questo gruppo, che dimostra qui di poter cambiare registro musicale più volte nella stessa canzone.

 

Arriva “Denti di cane”, una canzone che mostra Genova e la usa doppia natura di Giano bifronte in una maniera splendida, un atto di amore realista, dato che Genova accoglie ma può facilmente e spesso fagocitarti, per natura ed ambizione; l’atmosfera è più psichedelica, un canto delle sirene in una notte di nebbia.

La successiva “Vans deluxe” si apre con un riff di chitarra che più anni ottanta non si potrebbe che poi gioca con il basso e poi si abbatte la tempesta sonora e di parole, e in poche strofe si descrive benissimo cosa è la nostra società, per poi continuare a devastare, con un testo molto duro e sincero. Il disco si chiude con un titolo azzeccatissimo : “Sono stanco”, con un riff quasi sabbathiano, che regge una canzone che descrive benissimo delle nostre vite e del desiderio quasi nichilistico di fuga. L’intelaiatura della canzone è davvero importante e la voce di Davide fluttua benissimo in un magma di lava incandescente, e come sempre in questo disco voce e basso, chitarra e batteria funzionano alla perfezione, compenetrandosi come pochi altri gruppi. Notevolissima la produzione di Mattia Cominotto che riesce sempre a cogliere cosa sia u cosa vuole, un gruppo, un produttore davvero al servizio della musica di un gruppo.

Arrivati in fondo al disco si sente di aver vissuto un’esperienza sonora unica e che non si viveva da tempo, dato che qui la musica pesante è usata per raccontare e condividere il dolore e la voglia, forse l’impossibilità, di smettere di soffrire nel peggiore degli inferni : il nostro quotidiano.

“Denti di cane” non è uno sfogo, è il tatuaggio di quello che siamo, giusti o sbagliati non importa, questo disco non giudica ma parla con il supporto della musica che amiamo fatta in una maniera originale e che fa capire che l’underground è il nostro posto, sia di chi ha fatto questo disco sia di chi l’ascolta e siamo ben contenti di stare qui, e “Denti di cane” lo fa capire molto bene.

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