“Virus il punk è rumore. 1982-1989”
A cura di Marco Teatro e Giacomo Spazio
(Godfellas Edizioni)
Faccio parte di una generazione che il Virus lo ha solamente sfiorato. Ne ho sentito parlare, ho ascoltato i racconti di chi quello spazio lo ha visto e vissuto, anche solo sporadicamente. Ma, come detto, per me non è mai stato nulla oltre che un astratto punto di riferimento culturale.
Colgo quindi al volo l’occasione per rimettere in ordine i ricordi (oggi forse troppo sbiaditi) di un periodo difficile da comprendere per tutti quelli nati dagli anni novanta in poi. Il libro però è anche (e soprattutto) per loro, per capire che un’alternativa allo squallore quotidiano del nuovo millennio c’è, ed è meno distante di quanto si pensi.
Il Virus, centro sociale anarchico milanese, è senza dubbio uno dei punti di riferimento ideologici di una intera generazione. Un’oasi nel deserto cementificato di una Milano che cresceva e prosperava economicamente, ma che, al tempo stesso, era altrettanto carente in ambito sociale.
Una realtà (ri)conosciuta a livello internazionale, ma forse, come spesso accade, mai attentamente studiata da chi cerca di raccontare la storia del nostro paese attraverso i fenomeni sociali che l’hanno attraversata. Un’occupazione durata sette anni, dal 1982 al 1989. Sette lunghi anni in cui si riuscì a sdoganare per la prima volta un certo tipo di controcultura, andando ad infiltrare ambienti fino ad allora refrattari e impermeabili ai cambiamenti culturali.
Virus – il punk è rumore. 1982-1989Siamo nel 1982, a due anni da quell’orwelliano 1984 che tanto piace citare ai moderni ribelli da tastiera. Ribelli che mai hanno messo piede in realtà come questa o come quelle che negli anni a venire si sono replicate sia in città che nel resto d’Italia. Archiviati, almeno in parte, gli anni ’70, è il tempo per guardare al nuovo decennio e provare a contrastare l’edonismo di una città che guarda al futuro, all’Europa, al profitto economico e che se ne frega di chi non condivide gli stessi diritti, le stesse idee e le stesse possibilità economiche.
Serve uno spazio che possa permettere alle nuove generazioni di ritrovarsi, di crescere, di confrontarsi, ma soprattutto di esprimersi in totale libertà. Centri di aggregazione spontanea, dove si affrontino temi scomodi ma attuali, dove si cerchi un’alternativa al grigiore della città e alla facile via della droga.
Il Virus nasce così. Per rispondere a queste esigenze.
“Virus il punk è rumore. 1982-1989” è stato realizzato grazie al prezioso contributo di Marco Teatro (pittore e scenografo) e Giacomo Spazio (disegnatore grafico), due che punk lo sono stati e lo sono tuttora soprattutto nella mente. Entrambi frequentatori del centro sociale anarchico milanese, hanno deciso di rendere pubblici i loro archivi, e di dare alle stampe, grazie alla Goodfellas Edizioni, le 544 pagine del volume fotografico che abbiamo tra le mani.
La loro idea era quella di guardarsi indietro, e di farlo grazie a tutto ciò che negli anni hanno copiosamente messo da parte, vale a dire fanzine, volantini, flyer, manifesti, fotografie e tutto ciò che hanno immagazzinato non solo nelle loro memorie. “Reperti storici” a tutti gli effetti, che raccontano la storia da un diverso punto di vista, non ufficiale, non istituzionale, ma proprio per questo non meno valido, anzi.
La maggior parte sono corsivi ciclostilati e successivamente affissi sui muri della città, la notte, stando bene attenti a non incrociare le “milizie” statali o quelle avversarie dei neofascisti. Slogan che hanno scandito i sette anni di storia del centro sociale e che restano impressi nella mente di chi ha vissuto in quegli anni.
Slogan che sono incredibilmente ancora attuali. Datati nel linguaggi ma assolutamente in linea coi nostri tempi a livello concettuale. Segno che forse le “utopie” di un tempo non erano poi così campate in aria.
Se sono le immagini a parlare, è chiaro è netto il loro grido di rivolta che urla al cielo la voglia di controcultura che animava il Virus, la necessità di socializzazione e di emancipazione da un sistema sociopolitico oppressivo e ghettizzante.
La necessità di schierarsi dalla parte dei più deboli, contro le istituzioni burocratiche statali, che mai hanno capito l’importanza di questi spazi e li hanno al contrario sempre osteggiati. Quello del centro sociale era un rinnovamento culturale, una sfida alla modernità, una richiesta di libertà espressiva rimasta però inascoltata.
Come tutte le controculture anche quella del Virus era proiettata verso una diversa e rinnovata visione, sia artistica che politica, della vita. Una visione che esulava dal profitto finale legato alle iniziative ma che fosse fondata sul riconoscimento della dignità sociale di chi ne era coinvolto. Un cambiamento sociale e storico non di poco conto per una nazione che si stava affacciando al decennio del boom economico.
Il Virus resterà in prima linea in tutte le battaglie degli anni ’80. C’è tutto l’immaginario di quel
Virus il punk è rumoredecennio nelle 544 pagine del volume. Non solo iniziative legate al centro sociale anarchico ma anche prese di posizione in merito a questioni di interesse nazionale ed internazionale.
È come rileggere la storia d’Italia attraverso un atlante visivo alternativo alla storiografia ufficiale di stato. Il bello del volume è che non c’è nulla in più delle immagini. Sono queste a parlare e a fare parecchio rumore nelle nostre coscienze stanche e appiattite, oggi come allora.
Un decennio decisamente turbolento in cui emerge dirompente la mancanza di uguaglianza sociale in seno a una società ottusamente arroccata su posizioni retrograde e inconciliabili con il domani in arrivo. Saranno i giovani ancora una volta a dare il via alla trasformazione, sdoganando comportamenti e idee in totale contrasto con quelle istituzionalmente riconosciute.
Oggi, a distanza di anni, invece che pensare a sgomberare questi luoghi, ad abbatterli, a “restituirli alla città”, dovremmo andare in direzione contraria, verso una riscoperta di queste dinamiche, per capire che cosa animasse i partecipanti e i frequentatori, che cosa si nascondesse tra quelle mura di così seducente per i giovani di un tempo. È quindi innegabile, come detto in apertura, l’utilità di un volume come “Virus il punk è rumore. 1982-1989” così zeppo di memorie storiche tese verso un futuro che per quanto distante appariva chiarissimo. Le battaglie di allora sono ancora le nostre.
I problemi sono sostanzialmente gli stessi. Le battaglie contro il nucleare, la necessità di posizioni sempre più rivolte all’ambientalismo, la lotta alla supremazia bellica statunitense e alla sua idea di “esportazione della democrazia” ad ogni latitudine, la lotta alla droga, all’usura del lavoro, all’emarginazione in ogni sua forma, anche sessuale, al costo della vita e alla precarietà. Ritroviamo oggi le stesse condizioni di un tempo.
Manca però la stessa voglia di cambiamento.
Speriamo che un libro come questo possa servire se non a noi cinquantenni rassegnati almeno ai nostri figli.
Virus il punk è rumore