Reduce da un corposo tomo che narra di distopia – Ombre dal futuro per le Edizioni Malamente –, per alleggerire un po’ il nostro spirito Marco Sommariva (scrittore genovese, classe 1963) torna in libreria per i tipi di Evoé col romanzo Vorompatra, a vent’anni dalla prima pubblicazione di questo romanzo con Sicilia Punto L. La copertina è opera del fumettista Otto Gabos, la prefazione di Piergiorgio Pulixi.
Difficilmente qualcuno saprà cosa si nasconde dietro il termine “vorompatra”, ma – tralasciando il significato che, comunque, si può facilmente reperire su qualsiasi enciclopedia – conviene lasciarsi andare alla sensazione che evoca questo nome: il rombo di un tuono, il suono di una valanga. E, in effetti, Sommariva trascina da subito il lettore in un vortice di eventi e situazioni insieme al malcapitato protagonista che, disoccupato, è costretto ad accettare da un oscuro personaggio, un improbabile incarico che lo porterà in giro per l’Italia.
Se si sposa la teoria per cui si può definire “gialla” una narrazione che mette al centro il punto di vista di chi deve svelare il crimine allora sì, questo si potrebbe definire un romanzo giallo e il titolo, in ogni caso, è assai misterioso; se si crede che un giallo, per essere tale, debba avere un morto nelle pagine iniziali, allora anche in questo caso potrebbe essere un giallo quello che ci si ritrova tra le mani, ma se si legge la storia fino in fondo, si fa fatica a incasellare questo libro in una qualche definizione.
È però, a mio avviso, lo stesso Sommariva a venirci incontro per capire meglio il suo romanzo che, disseminato più di citazioni musicali che di indizi, si apre con la descrizione di un disco di Tom Waits: “È un disco strano, all’inizio non convince, ma lo riascolti perché hai l’impressione che ti sia sfuggito qualcosa e vuoi capire che cosa; e mentre continui ad ascoltarlo, e a non capire cosa non sei riuscito ad afferrare, ti accorgi che il disco comincia a piacerti fino al punto che non riesci più a farne a meno, tanto che se non lo ascolti almeno una volta al giorno, quel giorno ti sembra sprecato.” Ecco, è più o meno questo che si può dire di Vorompatra: un libro strano, il cui significato pare sfuggire di continuo mentre ti lascia una bella soddisfazione nella lettura e la curiosità di capire dove e come andrà a collocarsi questa miriade di personaggi e di piccole storie che danzano attorno alla trama principale, è tanta.
La penna dello scrittore è piacevolmente leggera nel tratteggiare alcuni comportamenti dell’autorità costituita talmente imbrigliata in lacci e lacciuoli da meritarsi lo sberleffo; corrosiva nel descrivere il nostro affanno nel voler apparire a tutti costi, fosse pure nello sfoggiare una maglietta con il viso di un noto rivoluzionario facendo ginnastica a bordo piscina in un paese esotico; di sconcertante attualità quando racconta di persone che producono un esagerato volume di parole per nascondere l’incapacità di pensare, del nostro costante attaccamento a cellulari e/o schermi di ogni genere o della nostra continua necessità di acquistare oggetti di ogni tipo che mentre erano sugli scaffali dei negozi o delle vetrine ci avevano riempito di aspettative ma che, una volta posizionati sugli scaffali delle nostre case, si rivelano per quello che sono, semplici oggetti inanimati e spesso inutili; abile nella descrizione dei sentimenti meno nobili della natura umana come quando, di fronte a un immigrato che ci chiede qualche spicciolo, non riusciamo a vedere l’essere umano che si nasconde dietro gli abiti rammendati e l’igiene sommaria dovuta più alle condizioni precarie dell’esistenza che non a una precisa volontà; infine, è una penna sfacciata quando attingendo dalla storia dello scapestrato protagonista, ci offre spaccati della nostra esistenza che finiscono per destare molto più interesse rispetto alla scoperta della mente criminale che si muove e chiude il romanzo spiazzando il lettore.
Da PulpLibri