Adorabile stacanovista, mister Steven John Hamper, per tutti noto col nome d’arte Billy Childish (e tanti altri alias). Sin dalla sua comparsa sulle scene musicali, agli inizi degli anni Ottanta, a oggi, il nostro si è distinto per una prodigiosa prolificità di materiale sonoro prodotto, sia da solista sia nelle sue numerose formazioni in cui ha militato e continua a suonare (Thee Milkshakes, Thee Mighty Caesars, Thee Headcoats, Wild Billy Childish and the Musicians of the British Empire e tante altre). Una lista talmente lunga di band e collaborazioni che, a elencarla tutta, si farebbe notte. Personaggio particolare, Billy, uno dei molti figli partoriti dal ciclone del punk settantasettino inglese. Una sorta di re Mida del rock ‘n’ roll britannico, sempre citato e celebrato meno di quanto meriterebbe, eppure non ama definirsi un artista (non è soltanto un musicista, ma anche scrittore, pittore, poeta e film maker) bensì un amatore/dilettante, perché non vuole trasformare in un lavoro ciò che ama fare. E, soprattutto, dopo tanti di attività, resta sempre un convinto praticante del credo indie (quello vero) che gli permette di fare un po’ il cazzo che vuole, anche a quasi 62 anni. E durante la pandemia da covid-19 è riuscito a sconfiggere anche il virus, che lo aveva colpito, ma nonostante ciò, tra 2020 e 2021 è riuscito comunque ad assemblare ben sei album (!) sotto il monicker The William Loveday Intention.
Oggi Billy “highlander” Childish ha riesumato i CTMF (diminutivo di Chatham Forts) gruppo che vede, nella line up, anche la presenza di sua moglie Julie Hamper al basso, perché il trio (completato da Wolf Howard alla batteria) ha appena pubblicato un nuovo album, su Damaged Good Records, intitolato “Where The Wild Purple Iris Grows“, che arriva a due anni da “Last Punk Standing…” e rappresenta l’ottavo album complessivo della band. Billy compare in copertina alla stregua di uno sceriffo protagonista di qualche film spaghetti-western di serie B, ma è una garanzia nel proporre ciò che sa fare meglio, spaziando dal punkabilly westernato à la Link Wray dello strumentale “Pluma Dorada” (e in “Mouldy Fig“) all’energico garage rock della title track iniziale (col basso che sembra quasi fare il verso a “Strychnine” dei Sonics) al beat/punk di “Tunnel of love” (e i Kinks/Who punkizzati in “You say that you love me“) al blues di “She was wearing tangerine” (e ripreso anche nel classicone “The train kept a rollin’“, qui in versione fuzzata) alla cover di “The ballad of Hollis Brown” di Bob Dylan (con un ottimo lavoro di armonica) al rifacimento di brani di repertorio – nonché classici minori del garage punk – come “Come into my life” (originariamente registrati dalle Headcoatees) e la conclusiva e scatenata “The same tree” (Headcoats) riarrangiati per l’occasione.
Canzoni dalla presa immediata sull’ascoltatore, che potrà godere di un rock ‘n’ roll sound essenziale e dritto al punto, scevro da filtri emozionali ed elucubrazioni sonore, che basa tutto sull’impatto fisico, senza tuttavia rinunciare a una certa freschezza melodica e sensibilità pop (nel senso più alto e dignitoso del termine). Il poliedrico menestrello del Kent non ne sbaglia una.
TRACKLIST
1. Where The Wild Purple Iris Grows
2. Mystery Song
3. Ballad Of Hollis Brown
4. She Was Wearing Tangerine
5. Pluma Dorada
6. Come Into My Life
7. Train Kept a Rollin’
8. You can’t Capture Time (Slight Return)
9. You Say That You Love Me
10. Tunnel of Love
11. Mouldy Fig
12. The Same Tree