Xavier Rudd è un australiano bello biondo muscoloso, che va in giro mezzo nudo e che suona il digderidoo. Che cosa ci fa quindi Xavier Rudd in una fredda serata di aprile sul palco del Trianon, storica sala da concerti parigina costruita alla fine del secolo scorso ? Si è perso ? E soprattutto, cosa ci faccio io nel pubblico ? Xavier Rudd è però, anche e soprattutto, un ottimo musicista che ha il dono di sapere coinvolgere una folla e farla felice, ha la capacita di raccontare storie di un mondo migliore e l’entusiasmo per renderle credibili, l’energia e il ritmo di un punk rocker (definizione che sicuramente lo offenderebbe a morte…), l’esperienza di 15 anni di musica e 8 album, il coraggio di mischiare generi, suoni, persone, strumenti musicali.
La prima cosa che sorprende è l’accoglienza trionfale che il pubblico parigino, spesso riconoscibile per un certo snobismo e sostenuta freddezza aprioristica, gli riserva. L’apparizione del nostro bellimbusto, abbronzato e vestito di una sola proletaria salopette di jeans, lasciva come neanche le più famose pubblicità anni 90 della Coca Cola, è salutata con un’ovazione ; è il momento di iniziare, con un paio di canzoni in solitaria, suonate da seduto, con la lap steel guitar sulle ginocchia, piacevoli, varie, che strappano un sorriso a tutti, anche a chi ha passato la più grigia giornata d’ufficio.
L’atmosfera un po’ ovattata e intimistica si riscalda pero rapidamente all’ingresso del gruppo, gli United Nations : dopo anni di esperienza quasi unicamente da “one man band”, ormai Xavier si fa accompagnare regolarmente (su album e live) da un gruppo variopinto e a formazione variabile (fino a 9 persone), rappresentato sul palco parigino da un ottimo batterista e da un tastierista tuttofare, che aggiungono spezie, bassi, variazioni e ritmo alla cucina di base.
Xavier Rudd puo essere senza dubbio paragonato a Jack Johnson, Donovan Frankenreiter e a quella scena acustica, un po’ soft rock, un po’ folk e un po’ hippie (e happy) , legata al mondo e all’immagine del surf, che suona cosi bene come colonna sonora delle vacanze tropicali. Però Xavier Rudd aggiunge sonorità a tratti reggae (!) e soprattutto un legame forte con culture e ideali etnici e locali, quale la causa aborigena australiana, rappresentata nelle parole, negli ideali, nel didgeridoo e in alcuni simboli (la bandiera aborigena che appare sul palco a metà concerto in particolare).
La ricetta è ambiziosa e piena di buoni sentimenti, e potrebbe uscire come un misto informe, ma invece l’alchimia c’ è e funziona, il pubblico è rapito e portato via, su altri continenti e verso altri ideali; Xavier è un ottimo polistrumentista che sa come dosare tecnicismi ed emozioni e ha una evidente capacita di parlare alle persone con la propria musica e il proprio corpo, coinvolgendole con tutti i trucchi, pure una cover di No Woman No Cry di Bob Marley che, miracolosamente, riesce a suonare fresca.
È un personaggio affascinante, il nostro Xavier, che si non si risparmia neanche un secondo, quasi due ore di concerto sul filo teso tra ballate acustiche e canzoni come fiumi di energia, il pubblico è felice e conquistato, il concerto è una parentesi felice e soleggiata in una notte metropolitana come tante altre.
Evviva.