29 settembre 2017 è la data di uscita del terzo album, in sette anni, di Zara McFarlane, artista inglese dedita al canto di matrice marcatamente jazz.
“Arise” è il titolo dell’album inciso per la Brownswood Recordings, del quale sono rimasto estasiato; esso presenta, come nelle intenzioni di Zara, una speciale miscela di reggae, jazz e soul, principalmente.
Contornata da validi musicisti, si segnala soprattutto il batterista/percussionista, essendo pure produttore, Moses Boyd, figura di spicco anch’egli della scena jazz britannica attuale. Sia Boyd che McFarlane sono stati insigniti di premi alla carriera che ne fanno non solo una eccellenza nel panorama del genere, ma ne proiettano lo sguardo sul futuro musicale della stessa, oggi intimamente cambiata.
Boyd riesce brillantemente a creare un suono impareggiabile per l’operazione intrapresa e sviluppa un connubio vincente con le doti e le idee della McFarlane. Devo dire, qui è tutto strabiliante, l’atmosfera fantastica creata, il suono degli strumentisti, la superlativa voce di Zara, l’unità rara che accorpa generi diversi; tutto si mescola ottimamente, lasciando montare nell’ascoltatore una strana confusione, un disorientamento artistico, ossimoro capacissimo di raccontare un album che vive di perfezioni, consonanze, armonizzazioni, dissonanze, bilanciamenti, chiaroscuri, intese, strutture estrose. Nulla è inadeguato nell’album a cominciare dall’intro “Ode to Kumina” ove gli intenti scavano nelle radici della religione afro-giamaicana di cerimonie, danze e musica portate dagli schiavi del Congo… ma il Kumina è anche uno stile di drumming collegato a quei riti religiosi che sfocia nei ritmi Nyabinghi, i quali hanno influenzato la musica reggae moderna.
“Pride” prende piede con carezze vocali inscenando quell’andamento cosmico situato tra avant-garde e post-bop: in vista soprattutto il Tenor Sax di Binker Golding che insieme a tastiere, batteria e basso, compiono un free pièce di cui Sun Ra andrebbe orgoglioso.
“Fussin And Fightin” apre le linee percussive, l’organo e le voci si spandono in una canzone reggae, il timbro melodico di Zara fa venire la pelle d’oca per come riesce a infondere simultaneità caraibica: la melodia calibrata trasporta come un ciclone fantasioso, immaginativo, sopra la Giamaica e i cori sembrano eseguiti dalle sirene dell’Odissea. Il piano finale contrasta egregiamente con la morbida melodia espressa lungo i ¾ del brano.
Il disco segue un filone di ricerca che interessa la musica caraibica, giamaicana, quella appartenente alle proprie radici e al quotidiano familiare vissuto, ciò a partire dai primi lavori dell’artista, sebbene in maniera costantemente crescente ed interconnessa alla espressività ed educazione jazz; inoltre, per la registrazione di “Arise” sono occorsi due fatti importanti per Zara, l’aver ottenuto dei fondi statali per incidere e l’essersi rivolta ancora alla Brownswood Rec. il cui piccolo staff, presieduto dall’inglese Gilles Peterson (DJ sin dall’era delle radio pirata, appassionato collezionista, proprietario di locali, produttore, talent scout e più), ha l’intelligenza di curare il lato artistico mettendo il musicista di turno a proprio agio ad esclusivo vantaggio della qualità; l’ampio respiro della produzione e l’ingaggio di un gruppo di musicisti sulla cresta dell’onda è stato permesso dal budget più cospicuo. In sede di scrittura dei testi, dice la McFarlane, essendo l’albo rivolto maggiormente all’aspetto musicale, questi sono giunti in un secondo momento ed hanno trovato spazio con naturalezza tematiche sociali e politiche, vedi ad esempio la “Fussin And Fighting”, che narra di disordini politici e così la seguente “Peace Begin Within”, cover di Nora Dean, che affronta serie questioni personali, il dolore e le dure prove a cui è messo il nostro spirito. Anche “Fisherman”, reprise del pezzo del ’77 dei Congos, un seminale duo reggae, è testo politicizzato (frenato, però, nei fini della McFarlane rispetto all’originale), ora avvalorato di ancestrale magia spiritual, costituisce il richiamo giamaicano che fa di questa isola e di ogni suo abitante un punto di appartenenza e di libertà.
“Stoke The Fire” mette in risalto il vocalismo prezioso di Zara, i ricami impeccabili e l’assolo di elettrica perturbano e beano; tutta la song ondeggia governata dalla voce sensuale e argentina, vola via come vento, pur toccando una profondità soul rock. La melodia malinconica vela il manifesto lirismo spirituale, incombe una divinità sempiterna sulle teste del caraibico, celebrato nella identitaria sensuale e perenne danza.
In “Freedom Chain” il fascino reggae sale in superficie, l’umore posto sotto controllo genera un miscuglio carico di pathos e dolcezza che non si può poggiare come monile decorativo sulla mensola, invece fornisce tangibile idea del peso artistico e della portata sopraffina della musica, tra basso e cori spinti verso l’esplosione folk che pesca a piene mani nella finezza vocal jazzistica mischiata col ritmo caraibico/reggae.
“Allies And Enemies” s’incunea nel cuore, nei sentimenti, nella pelle, si combina col paesaggio circostante, quale appariscente gioiello folk preziosamente sostenuto dalla voce ambrata: ecco la inquieta levigatezza jazz intervallata, sovrapposta, incrociata da vocalismi corali scat.
“In Between Worlds”. Lirica che veleggia i mari giamaicani, dondola con soave tranquillità, merito della misurata pacatezza dei toni… Il sapore africano è dato dagli strumenti, ma il cantato prende spedito il largo sulle acque caraibiche. Probabile confessione di vita, appartenere a due mondi differenti che coesistono in lei, l’East London e la Giamaica, il jazz clubbing e il roots. La track vive di minute suggestioni che si interfacciano sentimentalmente con la melodia che domina incontrastata.
“Silhouette” emoziona esattamente come ci si aspetterebbe da un jazz pièce outsider. La grazia bacia il motivo quasi struggente, lo si gusta seguendo il clarinetto di Shabaka Hutchings su manto dell’organo a cui fa sponda il lieve pianismo contemplativo, per la McFarlane, in attesa di una magnifica presa di stile finale che ne afferma l’ugola d’oro.
Tale meraviglia vede in coda “Ode To Cyril” intinta di tribalismo afro caraibico ancheggiante su ritmi calypso, defluisce in un tripudio concertistico di trombe, basso e percussioni tipiche rielaborate in un sentire nuovo, impressionante.
Il CD è orfano del 10” che lo ha preceduto alcuni mesi prima e che conteneva un estratto dal nodale disco del 1960 “We Insist! Max Roach’s Freedom Now Suite” accreditato a Oscar Brown, Jr. e Max Roach, “All Africa”. Un’altra perla!
TRACKLIST
1. Ode To Kumina 01:01
2. Pride 04:23
3. Fussin And Fightin 05:05
4. Peace Begins Within 04:09
5. Stoke The Fire 04:28
6. Freedom Chain 04:30
7. Riddim (Interlude) 01:29
8. Allies And Enemies 04:04
9. In Between Worlds 04:24
10. Silhouette 05:24
11. Fisherman 03:59
12. Ode to Cyril 03:03
LINE-UP
Zara McFarlane – Lead Vocals
Zara McFarlane – Backing Vocals
Moses Boyd – Drums
Max Luthert – Double Bass/Electric Bass
Neil Charles – Double Bass
Peter Edwards – Grand Piano /Clavinet / Rhodes/ Organ / Melodica
Shirley Tetteh – Electric Guitar
Shane Beales – Acoustic Guitar
Binker Golding – Tenor Sax
Nathaniel Cross – Trombone
Ruth Elder – Violin & Viola
Carola Krebs – Cello
Pete Eckford – Percussion
Moses Boyd – Djembe
Shabaka Hutchings – Clarinet / Bass Clarinet
Peter Edwards, Moses Boyd, Shirley Tetteh, David Wehinm, Max Luthert, Zara McFarlane – Claps
Pete Edwards, Moses Boyd, Shirley Tetteh, David Wehinm, Max Luthert, Zara McFarlane – Voices
Horns arranged by Zara McFarlane and Nathaniel Cross
Strings arranged by Peter Edwards
Recorded at Soup Studios
Engineers: Giles Barrett, Simon Trought, Sam Beer
Mixed by David Wehinm
Mastered by Stuart at Metropolis Studios
VOTO
10
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