ZETAZERO
– Buongiorno
– Buongiorno a lei
Buio
PRIMO
Gli occhi incollati da qualche zucchero proveniente dai cocktails della sera precedente. La bocca impastata, la testa nel mezzo di un bombardamento su Baghdad.
Cosa stava accadendo? Chi o cosa stava urlando grida di terrore nelle orecchie di Jim? Chi stava molando l’acciaio? Quale strano mostro aveva invaso la stanza?
Dal nulla il delirio si esaurì. La sveglia smise di emettere rumori molesti e la pace tornò tra le lenzuola che gli accarezzavano la schiena nuda. Dall’altra parte del letto qualcosa si mosse. Le orecchie ora si riempirono dei suoni di passi spenti e un attimo dopo il nulla.
– Ganascio portone con Paolo
Quali parole avesse appena ascoltato non era chiaro, chiunque fosse stato a pronunciarle, risultava strano sentire la voce di una donna in casa, per lo meno avrebbe dovuto esserlo. Nel dormiveglia cercava confusamente di ricostruire la notte appena trascorsa ma non aveva idea di cosa fosse successo.
Quando gli occhi riuscirono a schiudersi, superato il momento accecante della luce che pungeva il cervello, con la testa ancora appoggiata al cuscino, notò una strana forma sulle mensole della stanza.
Io non ricordo di avere delle mensole in camera da letto.
Incuriosito, decise di aprire definitivamente gli occhi e constatò di non trovarsi nel suo letto. Ora anche l’olfatto si stava riattivando, l’odore delle lenzuola era profumo dolce di mandorle e miele, niente a che fare con l’odore acre delle solite lenzuola utilizzate per settimane senza sosta. Non aveva idea di come avesse trascorso la notte, in compagnia, evidentemente, della ragazza che, solo poco prima, aveva pronunciato quelle parole incomprensibili e fuggevoli mentre lo stava lasciando da solo nel letto. Girato lo sguardo verso la sveglia sul comodino notò con tiepido stupore
che la mattina era già al suo apice. Il dolce imbroglio del Sonno non gli aveva permesso di percepire lo scorrere, lento ed inesorabile, del tempo; facendogli credere di essere in quello stato rem solo da pochi minuti.
Si alzò lentamente dal letto per provare a non generare dolori cerebrali, i quali arrivarono puntuali con un ruggito della testa che prese a palpitare all’impazzata.
Trovò senza difficoltà il bagno, era chiaro si trattasse di quello di una ragazza. Non un filo di polvere, profumato di ciliegio e prodotti di cosmesi in ogni dove.
Si diede una sciacquata al viso, si guardò con fare distratto per poi gettarsi in cucina.
Sul tavolo il caffè ormai freddo ed un biglietto: “Ti ho lasciato la colazione sul tavolo!”
“Allora forse Paolo non c’entra nulla in questa storia”
Pensò ad alta voce sedendosi sulla sedia di legno a capotavola, mentre sorseggiava lentamente il caffè tra un boccone di sigaretta e l’altro.
Le domande si inseguivano nella sua mente ma il pulsare della testa rendeva difficoltoso elaborare ogni minimo pensiero. Era decisamente il momento di accendere il cellulare alla ricerca di dati, indizi o suggerimenti che potessero guidarlo nella ricerca del come fosse finito in quella casa e cosa lo avesse trascinato nell’oblio facendogli dimenticare ogni minima cosa accaduta la notte precedente.
Chiaramente il cellulare era scarico, non si accendeva. In casa, o per lo meno nel suo campo visivo,
ancorché ancora offuscato dall’alcol della sera prima, sembrava non esserci nemmeno un cavo compatibile con il suo device, vai a sapere perché i produttori di quegli oggetti infernali e così inutilmente utili, non si siano mai messi d’accordo per produrli tutti uguali, una sorta di cavo universale. Apparve dunque lampante iniziare a capire per lo meno dove fosse situato geograficamente, senza l’ausilio della tecnologia elettronica.
Dalla finestra il paesaggio era conosciuto. L’idea precisa di dove si trovasse non era ancora arrivata ma di sicuro, ne era certo, quel luogo lo aveva già visto, almeno una volta.
Una signora lo scorse attraverso il vetro dalla via. Lo aveva riconosciuto, lo si intuiva dall’espressione di terrore dei suoi occhi. Jim ebbe un sussulto come se quella donna potesse avere una qualche connessione con lui.
Una fitta alla testa lo colse all’improvviso. Un dolore lancinante e, nella sua mente, apparirono immagini intermittenti e luccicanti simili al flash di una macchina fotografica anni ottanta di scarso valore.
Il buio della notte, attorno alla luce del vecchio lampione che si vedeva dalla finestra della cucina, stava tornando alla memoria confusa e sconvolta. Lo ricordava come se fosse stato sdraiato con la schiena appoggiata al muro. Poi un vuoto e d’un tratto quella donna dall’alto del suo balcone che inveiva verso di lui.
I frame iniziarono dall’ultima parte, pensava Jim, le parti antecedenti non erano per niente chiare. Ad esempio come potesse essersi ritrovato lì a terra. Forse la ragazza appena uscita sapeva. Mai vista, mai conosciuta, mai visto quell’appartamento.
La mattina stava volgendo al termine, lo stomaco iniziava a borbottare, le sigarette quasi finite. Era
necessario uscire per scongiurare di restare privi della dose giusta di nicotina, per evitare i tremori e la nevrastenia provocate dall’astinenza e per cercare di dare un senso a quella giornata.
La strada era infuocata dal caldo di un luglio impazzito. Il cervello di Jim continuava a fervere, i dolori aumentavano all’aumentare dell’esposizione alla luce, fino a doversi riparare all’ombra di un edificio del quale non poteva distinguerne l’insegna del locale con la vista annerita dalla luce soffocante del sole.
Qualche istante di paura dopo, si ritrovò accasciato di fronte all’entrata.
Un ragazzo, alle sue spalle, lo chiamò. Si voltò. Era, molto probabilmente, il cameriere del locale
o lo poteva sembrare dal suo abbigliamento.
– Hai bisogno?
– …
– Scusa, hai bisogno di aiuto?
Jim non parlò, si limitò ad annuire senza dire una parola, riuscì ad esprimere solo un esterrefatto sorriso.
In poco tempo era seduto ad un tavolo con del cibo tra i denti.
Ad ogni morso corrispondeva un minimo recupero delle energie, lo masticava a malapena per poi
inghiottirlo con la voracità di un animale feroce.
– Mi scusi quanto le devo?
– Sono tredici euro
– Mi scusi ancora, ma…
Scrutò fuori dalle vetrine del locale, oltre i tavoli esterni
– Ma dove siamo?
– Siamo nel quartiere delle “signore”.
Hai avuto una pessima serata, non è così?
Capita a molti da queste parti. Manuel porta la nostra specialità dell’arrivederci a questo ragazzo.
Manuel, il cameriere che poco prima lo aveva soccorso, arrivò con del liquore azzurro.
– Cosa sarebbe?
– La nostra specialità. Ti aiuterà a superare questo momento. Ingredienti segreti.
– Ed è alcolica?
– In minima parte
– E la parte che non lo è?
– Lascia stare i dettagli almeno per oggi. Accontentati di conoscere il suo nome
– E quale sarebbe?
– Il suo nome è Blimcs
– E il suo invece?
– Io mi chiamo Christopher e lui è Manuel
– Piacere, io sono Jim
– Piacere nostro
Dissero i due in coro, mentre Manuel indossava un sorriso quasi maligno che Jim ignorò per non sottoporsi al dilemma dei dettagli come aveva consigliato poco prima l’uomo appena conosciuto.
Christopher aveva lunghi baffi ingialliti dalla nicotina che cadevano sul fianco delle labbra.
Jim guardava quei mustacchi attorno al suo sorriso godurioso mentre buttava giù d’un fiato la pozione blu.
Sarebbe sembrata una persona maleducata rifiutando un dono da chi lo aveva appena aiutato, anche se solo per ricavarci del denaro. Il fine ultimo di salvarlo era stato raggiunto.
Sorrise di riflesso, posò il bicchiere e uscì.
A quel punto però conosceva solo il nome del quartiere, punto di inizio da non sottovalutare ma non aveva idea di dove si trovasse casa sua, continuava a chiedersi cosa volesse quella signora sotto casa di una ragazza della quale aveva visto solo lo sguardo felice di vederlo mentre lo salutava.
Un ricordo indelebile, come fosse un ultimo, dolce, delicato addio.
Le soluzioni della giornata erano svariatamente complicate.
Una era di provare a tornare nella casa dalla quale era partito. Ora, con lo stomaco pieno, sarebbe risultato più semplice ricostruire il tutto.
Intuì che il nome del quartiere nasceva dall’usanza delle “signore” a sistemarsi davanti ai loro usci per mettere in mostra la mercanzia e guadagnare sopra la voglia repressa degli uomini insoddisfatti o alla ricerca del piacere estremo, clandestino.
Passo dopo passo la vista calava, i palazzi ondeggiavano, la strada pareva corrergli incontro. Si sentiva minuscolo sotto tutto il cemento e acciaio dei muri attorno.
Prese ad ondeggiare anche lui, fermo immobile dritto sui piedi come un albero scosso dal vento, mentre osservava imbambolato verso l’alto le cime di quelli che parevano edifici enormi ma che, in realtà, erano solo piccole palazzine a due piani. Ora vicinissimi, ora lontanissimi.
– Ma cosa ha messo dentro a quell’intruglio?
Si chiedeva Jim immerso nella sua catalessi.
Mentre i palazzi continuavano ad essere giganti e poi ancora minuscoli. Da afferrare con due dita, da fuggire perché enormi e pericolanti.
Restava immobile e piano piano le “signore” gli si facevano attorno e, senza troppi complimenti, una lo strappò da quel senso di immobilismo per portarlo verso la sua stanza.
Lo spavento fece aumentare a dismisura la produzione di adrenalina, la quale annullò per un attimo
l’effetto della sostanza blu e Jim riuscì a sottrarsi dalle grinfie della signora.
Altri lampi come flash anni ottanta lo colsero all’improvviso, stava scappando, barcollando senza equilibrio e senza conoscerne il motivo, da una delle “signore”. Correva voltandosi indietro quanto più possibile per capire quanto fosse lontana. Complici il buio e la paura non vide il bidone dei rifiuti, lo scontrò bruscamente crollandogli sopra provocando un rumore assordante che svegliò gran parte del quartiere. Si ritrovò a terra urlante e dolorante. Fu in quel momento che vide la ragazza del mattino intenta ad alzarlo per aiutarlo e portarlo a casa con sé.
Si sforzava di ricordarne il volto ma vedeva solo i tratti di un manichino.
La “signora”, rendendosi conto di non poter sovrastare la forza di Jim, lo lasciò di scatto facendolo cadere a terra, batté la testa e perse i sensi.
Matteo ha scritto per IYEZINE anche un altro racconto: Zabeth